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l'editoriale dell'elefantino
L'addio a Harvard del classicista Hankins e l'esclusione stolta della storia dell'occidente
In quel luogo di studi e ricerche importanti, internazionalmente riconosciuto, grandi talenti sono sacrificati in nome della cultura woke e di un rigetto e disprezzo di sé dell’occidente, secondo il grande studioso. Decapitare una civiltà produce solo il suo opposto
Il congedo da Harvard e l’installazione in un istituto di studi in Florida di James Hankins è un omen, nel senso di presagio, purtroppo, e non di augurio, come sarebbe bello l’ultimo giorno dell’anno. Hankins è un grande studioso del classicismo, specie la sua versione italiana, scaturigine della modernità occidentale. In una lettera asciutta, di tono grave ma non pomposo, spiega perché lascia esaurirsi il contratto con l’Università di Harvard. In quel luogo di studi e ricerche importanti, internazionalmente riconosciuto, dice Hankins, la storia della civiltà occidentale è out in favore di una indistinta nebulosa come la storia globale. Grandi talenti sono sacrificati in nome della cultura woke e di un rigetto e disprezzo di sé dell’occidente. Conclusione piana, semplice e a suo modo inconfutabile: “Quando non si insegna ai giovani che cosa sia la civiltà, si scopre che le persone diventano incivili”. Hankins ce l’ha su anche con la tirannia sanitaria e scientifica emersa a suo dire nel periodo del Covid, ma è irritato in nome dei principi dell’educazione liberale, incompatibili anche con l’affirmative action, la politica delle minoranze (afroamericani, donne, gay, gender people), che però comporta o corre parallela alla deriva delle maggioranze ideologiche, come nel caso della campagna antisemita proliferata nei campus. Il classicista non deve, se liberale, essere per forza un progressista, può anche essere serenamente conservatore. Ma non è questo l’importante.
Ci si augura il meglio per la vita di istituzioni di ricerca e di studio della rilevanza di una Università della Ivy League, ci mancherebbe. E si possono avere mille riserve sull’intolleranza alle procedure sanitarie pubbliche in nome dell’inviolabilità della privacy e della libertà del magistero accademico. Inoltre la campagna antiwoke dei Trump e dei Vance getta un’ombra di cattiva politicizzazione, anche per i modi brutali e indiscriminati che la ispira, su chi sembra muoversi nel suo solco. Non è il caso di Hankins, o almeno così non sembra. Leo Strauss, il grande filosofo e classicista ebreo americano di Berlino New York e Chicago, descriveva bene, quando Hankins aveva i calzoni corti, le premesse ideologiche che molti anni dopo faranno cedere la diga occidentalista (“Liberalismo antico e moderno”, saggi sull’educazione liberale). Cedimento che non ha comportato solamente rinuncia, discriminazione del merito individuale, corruzione anche etica dei criteri scientifici e letterari canonici: molto è stato acquisito nell’ambito dei nuovi studi, dall’orientalistica alla storia del punto di vista femminile alla maggiore capacità di misurare la vera scala su cui sale la storia del mondo, storta come sempre il legno di cui è fatta l’umanità, che non è il solo occidente. L’errore, l’eresia, la stoltezza è nell’esclusione e nel senso di colpa e di odio di sé che ha portato, come lamenta Hankins, alla decapitazione di una storia della nostra civiltà, e della sua coscienza di sé, che non può che produrre il suo opposto, l’inciviltà.
quando l'acqua scarseggia