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L'analisi
Dazi e Fed, i giudizi supremi che aspettano Trump nel 2026
La Corte Suprema si esprimerà a inizio anno sulle tariffe "reciproche" e sul licenziamento di Lisa Cook dal board della Federal reserve: due test cruciali per il presidente americano e la democrazia Usa nell'anno delle midterm
Il 2026 sarà un anno che si concluderà con le elezioni di midterm, un passaggio cruciale per l’altra metà del mandato di Donald Trump. Ma prima l’anno si aprirà con due importanti sentenze della Corte Suprema che potranno avere un impatto determinante sul futuro dell’Amministrazione e anche sulle elezioni di novembre per il rinnovo del Congresso e di un terzo del Senato: sono i giudizi sul licenziamento di Lisa Cook dal board della Fed e quello sulla legittimità dei dazi. In quest’ultimo caso i giudici, che hanno già ascoltato a novembre le argomentazioni orali esprimendo scetticismo sulle posizioni dell’Amministrazione, dovranno decidere se il Presidente degli Stati Uniti può imporre delle tasse come i dazi in virtù dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge del 1977 che conferisce dei poteri in caso di un’emergenza nazionale. La decisione avrà una rilevanza enorme, sul piano istituzionale, politico ed economico.
La decisione della Corte Suprema sulla legalità dei cosiddetti dazi “reciproci” segnerà certamente un precedente importante nella definizione della linea di demarcazione tra i poteri dell’esecutivo e quelli del Congresso. Sebbene la composizione dell’attuale collegio sia a netta maggioranza conservatrice, con sei giudici su nove nominati da presidenti repubblicani, di cui tre proprio da Trump, non è affatto detto che il giudizio sarà favorevole al presidente. Anche perché su questi temi, l’impostazione giuridica repubblicana va in direzione opposta.
Non è un caso che anche i giudici della Court of International Trade, che in prima istanza ha bocciato i dazi “reciproci”, siano di formazione conservatrice: due su tre sono stati nominati da Reagan e dallo stesso Trump. E non è un caso che, dopo la sentenza sfavorevole, Trump abbia attaccato frontalmente Leonard Leo, il capo della Federalist Society, la fucina giuridica di matrice conservatrice e libertaria a cui i repubblicani, e lo stesso Trump, si rivolgono per le nomine dei giudici. Oltre al tema istituzionale, ovvero quali siano i limiti del presidente e del Congresso nell’imposizione delle tasse, c’è quindi anche un risvolto politico: un possibile nuovo fronte all’interno del mondo repubblicano, tra l’ala Maga fedele a Trump e quella più tradizionalmente conservatrice rappresentata anche dai giudici della Corte Suprema, contro cui è prevedibile che si scaglierà il Presidente in caso di giudizio a lui sfavorevole.
Ma le conseguenze più immediate sono, ovviamente, di tipo economico. Lo stesso Trump, anche con l’obiettivo di mettere pressione sui giudici, ha avvertito che “sarebbe un disastro economico” e “un disastro per la sicurezza nazionale se perdessimo la causa alla Corte Suprema”. Ma cosa succederà se i giudici dovessero dargli torto? Si aprirebbe un enorme buco nel bilancio federale, se si considera che i nuovi dazi introdotti da Trump hanno prodotto circa 200 miliardi di dollari di gettito secondo i dati diffusi a dicembre dalle dogane americane, la Customs and Border Protection. Per il futuro gli uomini della Casa Bianca sembrano avere un piano B: il segretario al Tesoro Scott Bessent e il direttore del Consiglio economico nazionale Kevin Hassett hanno più volte sostenuto che è possibile usare altre leggi per sostituire i dazi imposti secondo l’Ieepa. Ci sono alcune alternative, come alcune leggi che potrebbero consentire al presidente di usare i dazi per far fronte a grandi e gravi deficit della bilancia dei pagamenti o per rispondere a paesi che discriminano il commercio con gli Stati Uniti. Ma in realtà la questione non è così chiara dal punto di vista giuridico, altrimenti l’Amministrazione Trump avrebbe usato dall’inizio queste normative.
In ogni caso, il problema più grande riguarda il pregresso più che il futuro. Se la Corte Suprema dovesse decidere l’illegittimità dei dazi, le imprese importatrici avranno diritto a un rimborso? In teoria sì, ma non è così chiaro o scontato. Innanzitutto perché si aprirebbe un buco nel già enorme deficit fiscale del governo, che potrebbe porre dei problemi sui mercati. Nel giudizio orale, la giudice conservatrice Amy Coney Barrett ha manifestato che la procedura di rimborso potrebbe essere un casino (“a mess”). Secondo alcuni giuristi, è improbabile che il governo emetterà dei rimborsi automatici. Pertanto le imprese, nel caso in cui la Corte dovesse riconoscere questo diritto, dovrebbero avviare delle procedure amministrative e probabilmente aprire un contenzioso con il governo. Si aprirebbe così una fase di incertezza interna, sia sul piano economico delle imprese che fiscale del governo, e internazionale, visto che non sarà chiaro che fine faranno gli accordi sinora siglati con gli Stati Uniti su dazi ritenuti illegali dalla Corte Suprema.
L’altra attesa e importante sentenza sul caso Lisa Cook, che formalmente dovrà stabilire se il Presidente abbia o meno la facoltà di licenziare per giusta causa una governatrice della Fed, nella sostanza riguarda qualcosa di più fondamentale: l’indipendenza della banca centrale americana. Trump dovrà nominare il successore di Jerome Powell e dalla sentenza si capirà se e quanto avrà successo il suo takeover sulla Fed per riuscire a imporre una politica monetaria di taglio dei tassi da abbinare all’aumento dei dazi.
Le due sentenze della Corte Suprema, che avranno immediate conseguenze economiche, sono in realtà una prova sulla solidità dei contrappesi istituzionali: un test sulla salute della democrazia americana prima delle elezioni di metà mandato.
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