Ansa
L'editoriale del direttore
Il 2025 ha rafforzato i paesi liberi
Tutti i dati che smontano la catastrofica fabbrica delle percezioni: il commercio batte i dazi, la povertà diminuisce e anche sull’ambiente ci sono buone notizie. Ma soprattutto le democrazie sono ancora forti. Anche grazie a Kyiv
Se volessimo concentrarci unicamente sui prodotti usciti dalla fabbrica delle percezioni, l’anno che si appresta a terminare non potrebbe che avere un bilancio negativo, quasi drammatico. Quotidianamente, la fabbrica delle percezioni è lì e ci offre a buon mercato mattoncini utili a creare costruzioni in grado di replicare, in ogni contesto, l’apocalisse che ci circonda; se si sceglie di fermarsi alla superficie, o al rumore di fondo, si avrà la netta impressione che l’anno arrivato agli sgoccioli sia stato un anno semplicemente da dimenticare.
Chissà quante volte l’avrete sentito dire in questi mesi. La globalizzazione sta morendo, la democrazia sta soffrendo, l’Europa è fottuta, l’ambiente è un disastro, la povertà galoppa e la Russia sta vincendo la sua guerra. Le verità assolute generate con precisione certosina dalla fabbrica delle percezioni sono forti, se si osserva con pigrizia il mondo virale, ma risultano meno forti se si osserva con attenzione il mondo reale. Nonostante la guerra commerciale imposta dal “pacifista” Donald Trump, il 2025 verrà ricordato come l’anno in cui la crescita del volume degli scambi di beni nel mondo ha registrato il ritmo più rapido dalla ripresa post Covid. Il motivo lo ha messo a fuoco, pochi giorni fa, la Harvard Business Review: i dazi di Trump sono stati reali, ma la risposta offerta da buona parte delle democrazie all’ondata di protezionismo non ha prodotto altro protezionismo, ma ha invece prodotto nuove aperture. E se si ricorda che circa l’80 per cento di tutti gli scambi commerciali del mondo non coinvolgono né la Cina né gli Stati Uniti, si capirà perché l’America può molto, ma certamente non può tutto (detto tra parentesi: secondo Gallup, la percentuale di americani che vede il commercio principalmente come un’opportunità piuttosto che come una minaccia è salita nel 2025 all’81 per cento, al livello più alto degli ultimi trent’anni).
Stessa storia, se volete, per la povertà. A dimostrazione del fatto che l’aumento della globalizzazione porta anche a una diminuzione della povertà, ecco un dato formidabile registrato a giugno dalla Banca mondiale: la quota di popolazione mondiale in povertà estrema, nel 2025, è scesa dal 10,5 per cento nel 2022 al 9,9 per cento nel 2025. Stessa storia sull’ambiente. Nel 2025, con riferimento all’anno precedente, sono stati installati a livello globale oltre 580 GW di nuove rinnovabili: si tratta del più grande aumento annuo di sempre, con le rinnovabili che ora coprono circa un terzo della produzione elettrica mondiale. Sulle emissioni, altro dato clamoroso: nell’Unione europea le emissioni di gas serra sono risultate inferiori di circa il 30 per cento rispetto al 1990, con un calo netto nonostante la crescita economica. Stesso trend sulla qualità dell’aria: tra il 2005 e il 2025 le emissioni di particolato fine (PM2.5) in Europa si sono più che dimezzate. Va tutto bene? No, naturalmente. Va meglio di prima? Sì, ovviamente. Stesso tema, se volete, per quanto riguarda un altro bene assediato ma particolarmente resiliente, per così dire: la democrazia. Tra il 2024 e il 2025 hanno votato oltre 4 miliardi di persone in elezioni nazionali e sovranazionali: un numero senza precedenti. Le corti costituzionali e quelle supreme (in Europa, America latina, Asia) nel 2025 hanno continuato a bocciare leggi e decisioni dei governi. Oltre il 70 per cento della popolazione mondiale, secondo il V-Dem Institute, vive in paesi che tengono elezioni competitive: il dato, è vero, è leggermente inferiore al picco di inizio anni Duemila, ma non è in caduta libera; nel 2024-25 si è stabilizzato. L’Economist, pochi giorni fa, ha notato che nel 2025, nonostante le acque agitate, le democrazie hanno dato segnali di solidità veri. Il Canada ha eletto un tecnocrate sobrio come primo ministro, anziché un populista, e ha resistito alle prepotenze americane. Gli elettori in Moldavia hanno respinto un partito filo-russo nonostante le minacce e la disinformazione di Mosca. La Corea del Sud si è ripresa da una grave minaccia alla sua democrazia, respingendo a sua volta i tentativi di imporre un golpe militare e l’istituzione di una legge marziale. A essere stata aggredita, nel 2025, è stata anche l’Europa, con una doppia minaccia che arriva dal fronte americano e dal fronte russo. Ma per quanto l’Europa tenda ad assecondare un racconto negativo su sé stessa, nell’anno che volge al termine le notizie positive, riguardo alla capacità dell’Europa di resistere alle aggressioni, sono superiori rispetto alle notizie negative, che riguardano una vulnerabilità dell’Unione. L’Europa, come abbiamo ricordato pochi giorni fa, è certamente meno unita rispetto a un anno fa, con i paesi filo putiniani che hanno iniziato a rispondere agli input della madre patria. Ma nonostante questo, nel suo complesso, ha continuato a difendere l’Ucraina, si appresta a votare il ventesimo pacchetto di sanzioni alla Russia e a rendere sempre più marginale la sua dipendenza dal gas russo, ha introdotto gli Eurobond per sostenere la resistenza dell’Ucraina, ha dato il via a prestiti agevolati per la difesa dei paesi membri, ha congelato i beni russi senza escludere di utilizzarli un giorno per pagare la ricostruzione dell’Ucraina, ha introdotto sistemi di difesa transnazionali con i quali ha gettato le prime basi per la Difesa europea.
L’Europa ha reso possibile, attraverso scelte creative, il voto a maggioranza anche sui temi di politica estera, ha moltiplicato gli accordi commerciali con i partner nel mondo, e c’è da augurarsi che a gennaio anche il mitico Mercosur venga approvato da Francia e Italia. Laddove però la fabbrica dell’ottimismo ha sfornato beni durevoli, nel 2025, è proprio sulla difesa dei confini della democrazia e della libertà. Il 2025, in medio oriente, oltre che per le tragedie a Gaza, che hanno contribuito purtroppo per molto tempo a svuotare il bicchiere dell’ottimismo e a riempirlo più di sangue che di acqua, verrà ricordato come l’anno in cui l’Iran è stato indebolito, la Siria è stata liberata, il terrorismo islamista messo di fronte alle sue responsabilità. A inizio anno sarebbe stato impensabile credere che il 2025 sarebbe finito con il futuro dello stato palestinese sulle spalle di Hamas: prima si toglierà di mezzo, e prima i palestinesi avranno lo stato che meritano, come prevede il piano Trump. Oggi, invece, quella prospettiva è realtà, e potremmo dire che non ci poteva essere orizzonte più drammatico per gli estremisti pro Pal, che se volessero rivolgere le proprie attenzioni al futuro della Palestina dovrebbero oggi scendere in piazza contro Hamas e non contro Israele. Ma la storia di ottimismo vero, la più importante, la più solida, la più incredibile dell’anno che si sta concludendo è quella che riguarda l’Ucraina. Lo sappiamo: Kyiv è assediata, abbandonata da Trump, minacciata da Putin, colpita come non mai dall’esercito russo, bistrattata da alcuni movimenti filo putiniani d’Europa. Ma Kyiv, nonostante questo, nel 2025 ha compiuto miracoli e in un certo senso è un miracolo anche il modo in cui il presidente Zelensky, due giorni fa, è riuscito a non far pendere l’ago della bilancia verso Mosca, dopo la triangolazione di Trump con Putin e successivamente con lo stesso Zelensky, e il nulla di fatto maturato da quell’incontro, viste le premesse, non è una sconfitta per l’Ucraina, anzi. Il professor Fabio Sabatini, docente di Economia alla Sapienza, a Natale ha messo insieme alcuni punti interessanti, utili a mettere a fuoco le ragioni che fanno dell’Ucraina il simbolo dell’ottimismo che non vogliamo vedere. Nel 2025 l’Ucraina ha bloccato ogni sfondamento strategico russo, mantenendo il fronte sostanzialmente stabile. Ha inflitto perdite enormi a Mosca (centinaia di migliaia solo nell’anno) a fronte di avanzamenti territoriali marginali. Ha colpito in profondità infrastrutture e logistica russe. Ha smentito sul campo la narrazione della vittoria russa, mostrando che la guerra è di logoramento sfavorevole al Cremlino. Ha avvicinato il suo percorso a quello dell’Unione europea. Ha difeso, in modo eroico, i confini della nostra democrazia, offrendo all’Europa, con il suo esercito, una prima forma embrionale di difesa europea. Alla fine dei conti, dalla fine del 2022 a oggi, come ha ricordato anche Giorgia Meloni in Parlamento, la Russia è riuscita a conquistare appena l’1,45 per cento del territorio ucraino. E secondo l’Institute for the Study of War, le forze russe hanno conquistato lo 0,77 per cento del territorio ucraino dall’inizio del 2025: 4.669 chilometri quadrati. Non a caso oggi la Russia ha bisogno della diplomazia americana per poter conquistare le regioni che Putin non è in grado di annettere militarmente (il Donbas). La fabbrica delle percezioni, lo sappiamo, produce suggestioni ma anche distorsioni. E tra le distorsioni più importanti da maneggiare con cura nell’anno che volge al termine ce ne sono alcune che meritano di essere denunciate: non tutto ciò che è aggredito è automaticamente sconfitto. E pur essendo aggredite, la globalizzazione, la democrazia, l’Europa, l’ambiente e il benessere mondiale, alla fine dell’anno, stanno un po’ meglio rispetto a un anno fa.