Gli europei non graditi

La sottosegretaria Sarah Rogers e il balzo in avanti (con i visti negati) della battaglia trumpiana contro l'Europa

Paola Peduzzi

Washington apre uno scontro frontale con l’Europa sulla libertà d’espressione: visti negati ai “censori” del web, attacchi al Digital Services Act e sponde all’estrema destra europea. Nel nome di una libertà declinata in chiave trumpiana, gli Stati Uniti trattano le regole europee come una minaccia maggiore della disinformazione russa

Sarah Rogers, sottosegretaria del dipartimento di stato americano, ha tracciato una “linea rossa” che i paesi europei – ed è partita dal Regno Unito – non devono sorpassare se vogliono continuare ad avere rapporti o a viaggiare negli Stati Uniti: “Censurare americani in America è un ostacolo insormontabile”, aveva detto Rogers all’inizio di dicembre in un’intervista all’emittente britannica trumpiana GbNews. Ed è proprio questa conversazione che Rogers ha citato annunciando le misure sanzionatorie contro cinque “censori” europei ai quali è stato negato il visto per l’ingresso negli Stati Uniti. 

Ci sono due inglesi nella lista americana (“illustrativa ma non esaustiva”, ha precisato Rogers) degli europei non graditi – Imran Ahmed, direttore esecutivo del Centre for Countering Digital Hate, e Clare Melford, che lavora al Global Disinformation Index – e due tedesche – Josephine Ballon e Anna-Lena von Hodenberg di HateAid – ma il sanzionato più celebre e più di peso è l’ex commissario europeo Thierry Breton, francese, che è l’architetto del Digital Services Act (Dsa), la legislazione dell’Unione europea che regola le piattaforme social e in generale la vita online degli europei.

La Casa Bianca e i tecnoligarchi che le gravitano attorno detestano il Dsa e detestano le regole europee sui social e sull’online: ne fanno una questione di libertà d’espressione, dicono che queste leggi – come quella del Regno Unito, l’Online Safety Act, approvata nel 2023 da un governo conservatore ed entrata pienamente in vigore quest’anno – sono la dimostrazione della volontà censoria e illiberale degli europei, la prova di una civiltà in declino che teme il dissenso a tal punto da far di tutto per silenziarlo. L’equivoco trumpiano sulla libertà d’espressione è piuttosto evidente, basta vedere quel che sta accadendo nel mondo Maga, dove complottismi e negazionismi vari hanno affossato i cosiddetti media mainstream o tradizionali lasciando spazio a svastiche, antisemitismo e altre brutture estremiste. Ma anche la stessa Sarah Rogers è un buon esempio di questo equivoco: sottosegretaria per la Public Diplomacy, Rogers ha viaggiato tra Londra, Parigi e Berlino nella prima metà di dicembre (è stata anche a Milano alla prima della Scala e ha denunciato le proteste contro l’opera russa scelta quest’anno facendole sembrare più grandi di quanto non fossero, visto che non c’è stata alcuna censura), ha pubblicato dei video dicendo: viaggio con un passaporto diplomatico quindi posso dire quel che gli europei non possono, e selezionando poi alcuni episodi di wokeness e politicamente corretto in modo da far sembrare i governi europei in preda all’isteria censoria cara anche al vicepresidente americano J. D. Vance. 

In linea perfetta con il vicepresidente – ma anche con la direttrice dell’intelligence americana, Tulsi Gabbard, e del segretario di stato, Marco Rubio – Rogers ha accompagnato la sua denuncia incontrando alcuni esponenti dei partiti che, secondo il documento per la Strategia di sicurezza nazionale dell’Amministrazione Trump, aiuteranno l’Europa a salvarsi dal declino, cioè i partiti di estrema destra. In particolare, in Germania, proprio come aveva fatto Vance a febbraio, Rogers ha incontrato alcuni esponenti dell’AfD, come Markus Frohnmaier, che secondo alcuni documenti pubblicati dallo Spiegel, compare tra i politici che il Cremlino considera “completamente sotto il nostro controllo”. Rogers ha elogiato Frohnmaier e la battaglia dell’AfD per la libertà d’espressione (che spesso si sostanzia in xenofobia e in rimestaggi negazionisti e neonazisti) e a tutti quelli che le dicevano che sembra che questo signore sia un utile idiota della Russia ha risposto: questa è libertà ed è la ragione per cui l’AfD è tanto in crescita. 

Il giorno della vigilia di Natale, Rogers è stata ospite del podcast di Liz Truss, ex premier britannica conservatrice che è riuscita in 45 giorni a fracassare il suo mandato (è quella che è durata meno di un cespo d’insalata e che ha dato la colpa del suo fallimento al deep state, non al fatto che la sua manovra di bilancio ha fatto collassare i mercati e la sterlina) e che ora si è fatta portavoce della battaglia antieuropea dell’America trumpiana, pensando così di restaurare una carriera sfasciata ma di fatto aiutando il più brillante dei portavoce trumpiani in terra britannica, cioè il nazionalista Nigel Farage.

Per comprendere appieno questo equivoco, infine, non si può non citare l’ira funesta di Elon Musk, che da quando la sua piattaforma social X è stata multata dall’Unione europea per 120 milioni di euro perché ha violato gli obblighi di legge sulla trasparenza, ha intensificato gli attacchi all’Europa. Thierry Breton è finito nella “lista illustrativa” per questo, in quanto architetto della legislazione europea. Rogers ha indicato questa ragione esplicitamente, mentre parlava di “censura extraterritoriale di cittadini americani”, la linea rossa oltrepassata dagli europei illiberali, secondo questi trumpiani che ci considerano più pericolosi dei russi con le bombe, con i sabotaggi, con la disinformazione.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi