stati uniti

La pubblicazione dei documenti sul caso Epstein è un caos

Marco Arvati

Il dipartimento di Giustizia sta rilasciando a tappe e con pesanti omissis il materiale sul finanziere accusato di traffico sessuale di minori, violando le scadenze fissate dalla legge. Il boomerang politico per l’Amministrazione “più trasparente della storia”, tra sospetti di coperture e nuovi elementi che coinvolgono Trump

Il dipartimento di Giustizia (DoJ) sta pian piano iniziando a rendere pubblico il materiale a sua disposizione riguardante Jeffrey Epstein, il finanziere accusato di traffico sessuale di minori, morto suicida in carcere nel 2019 prima che si potesse compiere il processo. Un’operazione che sta avvenendo con ritardo rispetto alle linee guida imposte dal Congresso: secondo l’Epstein Files Transparency Act, la legge passata alle camere con supporto bipartisan e firmata con riluttanza dal presidente Trump il 19 novembre, tutti i documenti in possesso del DoJ sarebbero dovuti diventare pubblici entro 30 giorni dalla firma della legge stessa. Scaduti i termini, il 19 dicembre, il dipartimento aveva pubblicato solo una piccola parte dei materiali, seguita da un’altra tranche il 23 dello stesso mese, e il viceprocuratore Blanche ha affermato che la pubblicazione dei documenti nella loro interezza richiederà settimane. Le tempistiche allungate e la selezione dei file stanno scatenando un intenso dibattito a Washington.

 

È solo l’ultimo sviluppo di un caso che ha segnato il primo anno di presidenza di Donald Trump. Già a febbraio, la segretaria alla Giustizia Pam Bondi aveva convocato a Washington una serie di influencer conservatori: questi avevano chiesto in campagna elettorale che venissero rilasciati tutti i documenti relativi al caso Epstein, convinti che avrebbero rivelato i legami tra il finanziere e le èlite democratiche.  In quell’evento Bondi aveva consegnato loro alcuni faldoni sul caso, ma gli influencer ne sono rimasti poco colpiti: si sarebbe trattato di materiale poco interessante, se non addirittura già reso pubblico precedentemente. A luglio, poi, Bondi ha pubblicato una nota che decretava ufficialmente la morte di Epstein un suicidio e affermava che il dipartimento non avrebbe reso pubblico altro materiale sul caso. Da qui è partito un assedio bipartisan all’Amministrazione che si autodefiniva “la più trasparente della storia”: podcaster e influencer conservatori stupiti dal fatto che Trump si rifiutava di andare a fondo nell’indagine, e i democratici al Congresso che hanno compreso come tutto questo si stava trasformando in un autogol per Trump. Nonostante le reticenze della Casa Bianca e dello speaker della Camera Mike Johnson, il Congresso è riuscito a votare una legge che imponeva la pubblicazione di tutto il materiale, che sta ora pian piano venendo alla luce. 

 

Le polemiche si sono ulteriormente accentuate non appena il dipartimento ha reso visibile la prima tranche di documenti: alcuni di questi erano infatti pesantemente oscurati per segretezza, tanto da rendere impossibile comprenderne il contenuto, altri sono stati inizialmente cancellati, prima di essere resi nuovamente disponibili ore dopo. Blanche ha affermato che c’è bisogno di proteggere le vittime e quindi anche di tempo per capire come fare le omissioni appropriate sui documenti in modo da non esporre nuovamente le ragazze.  Una spiegazione che cozza, però, con la richiesta di alcune vittime di Epstein, che ha fatto nei mesi pressione sul Congresso perché i documenti venissero rilasciati, che vorrebbe invece una pubblicazione più veloce: Jesse Michaels, una delle vittime, ha affermato che starebbe “continuando la copertura”. 

 

L’Amministrazione ha cercato, in un primo momento, di utilizzare quest’obbligo di trasparenza a proprio vantaggio: non appena i documenti sono stati resi scaricabili per chiunque lo volesse, persone vicine a Trump e lo stesso Ufficio degli Affari Pubblici del dipartimento di Giustizia hanno evidenziato la presenza dell’ex presidente democratico Bill Clinton in varie foto. E proprio per Clinton sono state le uniche parole pronunciate da Trump sul tema fino ad adesso, quando ha affermato che “gli dispiace dover rendere pubbliche foto di persone che hanno incontrato un criminale in maniera innocente anni fa, ma questo è quello che hanno voluto i democratici e alcuni repubblicani cattivi”. Il portavoce di Clinton Angel Urena ha affermato su X che “la Casa Bianca non ha di certo tentato di nascondere questi documenti per mesi per proteggere Clinton. Questo serve a fare loro scudo per quello che verrà dopo”. 

 

Al netto dei riferimenti a Clinton, la prima tranche di documenti non ha soddisfatto il Congresso: i democratici hanno utilizzato come prova un file di 119 pagine in cui si leggevano soltanto poche parole per affermare che “pubblicare una montagna di pagine nere viola la trasparenza richiesta per legge”. Thomas Massie, il repubblicano sponsor della legge, ha affermato che “l’Amministrazione non sta collaborando”, anche perché l’atto era esplicito nel non permettere al dipartimento di allungare i tempi o omettere personaggi che avrebbero potuto provare “imbarazzo o problemi reputazionali”. Una delle possibilità in mano ai deputati è quella di citare in giudizio Pam Bondi per oltraggio al Congresso, dandole ulteriori 30 giorni di tempo per pubblicare tutto e poi multandola quotidianamente fino a quando non avrà rilasciato i materiali: una mossa difficile da attuare, in quanto il procedimento penale dovrebbe poi essere applicato dallo stesso Dipartimento che Bondi guida. 

 

Bondi, intanto, non si è esposta. Dal momento del primo rilascio dei file, a parlare con giornalisti e televisioni è stato il suo viceprocuratore, Todd Blanche, che ha evidenziato come “ci vorranno settimane a pubblicare tutto” e che non sarebbe in corso “nessun tentativo di proteggere Trump”. Secondo l’Atlantic, Bondi aveva parlato con alcune sopravvissute agli abusi sessuali di Epstein il giorno prima della pubblicazione dei file, dando loro anticipazioni su cosa sarebbe stato reso disponibile. Da quel momento, non ha rilasciato dichiarazioni, e non ha nemmeno parlato con le vittime il giorno successivo in quanto “aveva una visita medica”.

 

Nella seconda tranche di documenti, resa pubblica il 23 dicembre, ci sono invece molti più riferimenti a Trump. Sono presenti, infatti, alcune note di un assistente che segnalavano le presenze del presidente sul jet privato di Epstein. Tra il 1993 e il 1996 Trump sarebbe salito otto volte, di cui quattro anche in compagnia della complice di Epstein, Ghislaine Maxwell, e una volta insieme soltanto al finanziere e a una ragazza di 20 anni. Un altro documento, invece, è una lettera che Epstein ha spedito dal carcere nel 2019 a Larry Nassar, il fisioterapista della squadra di ginnastica statunitense che ha molestato lungo un periodo di 22 anni almeno 265 ragazze: una storia che le vittime hanno raccontato nel documentario Athlete A. Nella lettera Epstein scrive a Nassar che i due “condividono la passione per le giovani ragazze, così come il nostro presidente”: all’epoca dei fatti, il 2019, si trattava proprio di Trump. Probabilmente per questo documento rivoltante, il dipartimento di Giustizia, nel pubblicare i file, ha scritto una nota in cui afferma che “troverete riferimenti non veri e sensazionalistici nei confronti del presidente Trump”, e continua dicendo che “se questi riferimenti avessero avuto un briciolo di credibilità, sarebbero già stati usati contro di lui”.

Oltre alle implicazioni politiche, il quadro che emerge dai documenti è disgustoso: in una testimonianza si legge addirittura che Epstein una sera avrebbe controllato dei documenti d’identità per assicurarsi che le ragazze fossero minorenni. Inoltre, viene messa in luce una vicenda poco conosciuta: Epstein era già stato denunciato una volta nel 1996, da Maria Farmer, che lavorava con lui in quel periodo. Farmer lo accusava di pornografia minorile, avendo rubato foto e negativi di scatti fatti sulle sue sorelle più piccole, di 12 e 16 anni, per venderle. L’Fbi, però, non aveva proceduto nelle indagini. A distanza di quasi trent’anni, Farmer ha affermato che ha pianto, “sia di gioia per sé stessa, sia di dolore per tutte le altre vittime che ci sono state per via del fallimento dell’Fbi”.