Le regole “stupide” che hanno fatto l'Europa intelligente
Per i paesi capaci di mantenere un bilancio in pareggio, il 3 per cento del pil è un margine più che sufficiente per contrastare le fasi avverse del ciclo. L’Unione è diventata più unita e lo è diventata intorno a un obbiettivo semplice, comprensibile, applicabile
La realtà sa essere, a volte, straordinariamente ironica. Poco più di vent’anni fa, fu l’allora presidente della Commissione europea a definire “stupide” le regole fiscali europee allora in vigore. Stupide, perché rigide. Incapaci di adattarsi alle condizioni di volta in volta prevalenti. Non a caso, nel 2005 il Patto di stabilità e crescita fu emendato per renderlo più flessibile, per adattarlo alle realtà dei singoli paesi membri e alle condizioni del ciclo economico e per consentirgli di fronteggiare eventi inattesi. Il ricorso a concetti economici tanto chiari quanto poco misurabili apparve una conquista. A distanza di soli pochi anni, fu la realtà a mettere alla prova quel Patto e a sconfiggerne le ambizioni. Nella lettura di molti, divenne sinonimo delle politiche di austerità. Alle sue regole si imputò l’aver amplificato, anziché attenuato, le conseguenze della crisi finanziaria, prima, e della crisi dei debiti sovrani, poi. E così, nel 2014, fu inevitabile rendere le regole fiscali europee ancora più flessibili e ancora meno anticicliche. Ma la realtà si incaricò ancora una volta di chiarire i termini della questione. La pandemia portò, infatti, alla sostanziale sospensione delle regole fiscali europee e avviò, tanto per cambiare, il dibattito sulla loro riforma. Riforma che ha visto la luce, com’è noto, nell’aprile del 2024 all’insegna di una ritrovata collaborazione fra la Commissione europea e gli stati membri capace di generare soluzioni flessibili e adatte alle condizioni dei singoli paesi membri e a sostenerne le prospettive di crescita. Ricorrendo a nozioni economiche ancora più sofisticate e ancora meno afferrabili. Sono bastati solo 18 mesi e in Europa si è tornati a bollare le regole fiscali europee come eccessivamente rigide e portatrici di una nuova ondata di austerità. C’è chi – come alcuni economisti tedeschi (tedeschi, non italiani, greci, spagnoli o portoghesi) – ha sostenuto che è giunto il momento di riformare le regole appena riformate. Se le regole iniziali erano “stupide”, che dire di quelle che le hanno seguite?
In realtà c’è qualcosa di stupido non nelle regole iniziali – il limite del 3 per cento ai disavanzi pubblici, fissato a Maastricht, in particolare – quanto nel modo di procedere dell’Unione. Non si vuole prendere atto che in un mondo che ci riserva ogni giorno sorprese e di cui a malapena intuiamo – ma non di più – le regole di funzionamento, architetture istituzionali complesse sono regolarmente votate al fallimento. Esse possono risultare soddisfacenti per le burocrazie che le disegnano e che della loro applicazione si alimentano, ma mai lo saranno per i cittadini che dovrebbero in fin dei conti proteggere. La realtà dei fatti è, a oggi, una sola: a distanza di trent’anni o quasi le regole “stupide” hanno generato un mondo intelligente. Nel corso del tempo i disavanzi pubblici dei paesi membri dell’Unione si sono attestati, in media, intorno al 3 per cento e la loro dispersione si è via via ridotta. Per i paesi capaci di mantenere un bilancio in pareggio, il 3 per cento del prodotto è un margine più che sufficiente per contrastare le fasi avverse del ciclo. L’Unione è diventata più unita e lo è diventata intorno ad un obbiettivo semplice, comprensibile, applicabile. Che non richiede mediazioni burocratiche di sorta ma solo un efficiente funzionamento degli Istituti di statistica. Di più: gli investimenti pubblici nella media dell’Unione sono all’incirca il 3 per cento del pil. La cosiddetta golden rule che molti invocano a giorni alterni è già lì. Nei fatti. Un grande successo maturato mentre eravamo occupati a costruire gli edifici barocchi ed effimeri della governance fiscale europea.
Il programma Next Generation Eu e le recenti decisioni sul finanziamento dell’Ucraina hanno segnato un passo in avanti verso la sempre più urgente costruzione di una capacità fiscale europea non puramente simbolica. Questa dovrà essere associata a regole che per funzionare dovranno essere elementari: la regola del 3 per cento è un buon esempio. Quando gli Stati Uniti, negli anni ‘40 del XIX secolo, si trovarono in una simile congerie capirono che una capacità fiscale centrale andava accompagnata con un insieme di regole semplici e di immediata comprensione e applicazione e optarono per il pareggio di bilancio a livello del singolo stato. Com’era prevedibile, funzionò.
la politica estera americana