Secondo il Deportation Data Project un migliaio di arresti al giorno avviene per questioni migratorie. Ad agosto la media è stata di 500 al giorno (Getty) 

La resistenza dei fischietti, che avvisano in caso di retate dell'Ice

Giulio Silvano

La polizia anti-immigrazione controlla le città americane, ma alla furia Maga rispondono sentinelle organizzate

Il nemico da dentro” è la frase trumpiana che definisce la politica statunitense di questo 2025. Non la Russia di Putin, non i jihadisti, non i terroristi stranieri, non l’Isis, non l’Iran del leader supremo, non l’economia cinese. No, il nemico per l’America terra di libertà è un nemico “interno”. Questo è “il problema più grande. Abbiamo delle persone molto cattive. Abbiamo persone disgustose. Pazzi radicali di sinistra”, diceva Donald Trump, appena prima di essere rieletto, a Fox News, continuando con gli insulti agli immigrati – “stanno mandando la loro gente peggiore” . E ha mantenuto la promessa. Da quando è tornato alla Casa Bianca l’iper-populista ha combattuto gli immigrati irregolari, o i presunti tali, i “cattivi hombres”, che secondo la retorica Maga “portano violenza e droga nelle nostre strade”, o che in Ohio “mangiano i nostri cani e i nostri gatti”, gente che proviene – sempre citando il forbito presidente – da “paesi di merda”. E così in questi mesi il piccolo sogno igienizzante sussurrato dal Rasputin dell’immigrazione, il grigissimo consigliere Steve Miller, è diventato realtà spedendo i soldati nelle città e negli stati amministrati dai democratici, quelle città che in gergo migratorio vengono chiamate “sanctuary city” (le città santuario), dove anche se arrivi senza documenti puoi stare abbastanza tranquillo se non ti metti nei guai. Miller, Trump e il vecchio saggio stratega Steve Bannon hanno sempre parlato di deportazioni di massa, è un sogno nazionalista di lunga data. E’ stata aperta (e poi chiusa) anche una prigione col fossato e gli alligatori, in Florida, come nei peggiori sogni medievali. Agenti dell’Ice – la polizia anti-immigrazione fondata da George W. Bush dopo l’11 settembre – che arrivano nelle scuole, nei negozi, nei parcheggi, bambini che piangono.  Persone che per un tatuaggio vengono scambiate per membri di una gang venezuelana e spedite, senza processo, in una prigione in El Salvador e lì, rasate e ammanettate, finiscono nel feed di Instagram della capa della sicurezza nazionale. I Suv con i vetri oscurati arrivano di corsa, agenti mascherati spuntano dal nulla e trascinano via un venditore di tamales caldi. Quando i raid sono iniziati, qualche mese fa, sono nate le proteste, prima spontanee e poi più strutturate. Prima a Los Angeles con scene da film di John Carpenter, con auto a guida autonoma incendiate sotto le palme – la California è lo stato con più immigrati d’America (circa 11 milioni). E poi anche a New York e Chicago e in Oregon, con la gente vestita da rana colpita dal getto degli idranti e dalle granate stordenti. Stati e città blu, cioè democratiche. Ma oggi si è capito che non bastano i cartelloni sulle avenue e i costumi di plastica venduti su Amazon. Adesso in alcune città si sta organizzando quella che la stampa americana chiama “resistenza”. 

  

Il sogno del Rasputin dell’immigrazione, il grigissimo Steve Miller, è diventato realtà con i soldati nelle città e negli stati democratici

  
A New York la sede dell’Ice è a pochi passi dal ponte di Brooklyn, vicino ad altri edifici pubblici. I primi mesi non si sapeva quando gli agenti dell’Ice avrebbero colpito, portando via dalle classi o dai fast food i latinos dall’aria sospetta, ed è per questo che le proteste erano inefficaci. Ma da un po’ di tempo a questa parte dei gruppi che vogliono restare anonimi e che comunicano su Signal, un’app di messaggistica criptata, hanno iniziato a monitorare la piazza su cui si affacciano gli uffici degli agenti. Il 29 novembre c’erano più auto del solito parcheggiate davanti alla sede dell’Ice, e così gli attivisti hanno capito che si stava organizzando un raid. Così hanno postato sui social una chiamata alle armi e duecento persone si sono riunite lì in pochi minuti, bloccando il garage e la rampa da cui dovevano uscire i Suv neri. Il New York Magazine, che ha fatto un reportage su queste scene, racconta di persone che sistemano i cassonetti davanti alle auto, che cercano di rallentare i furgoni mettendocisi davanti a peso morto, in modo che la popolazione a rischio sappia in tempo che arriveranno gli agenti e possano nascondersi. Un raid è molto meno efficace se manca l’effetto sorpresa. Una manifestante di 63 anni ha guardato negli occhi un agente e gli ha detto: “Non sei obbligato a farlo”. Mezz’ora dopo è arrivata la polizia municipale di New York che ha allontanato tutti con lo spray al peperoncino e arrestato diverse persone. “Le nostre erano tutte tecniche per ritardare le cose. Non abbiamo interferito con nessun arresto di immigrati. Ma i ritardi permettono alla voce di spargersi… e così non hanno preso nessuno”, ha detto una partecipante al NYMag. “Abbiamo fatto un ottimo lavoro”. 


Sono queste le azioni organizzate da “Hands Off NYC”, un gruppo che unisce associazioni come “New York Immigration Coalition” e “Make the Road New York”. I volontari vengono brevemente formati, ad esempio in una chiesa pentacostale a Brooklyn, e gli vengono dati dei fischietti di plastica in modo che possano mettere in allerta gli altri. Come con i falò sulle torri di guardia medievali, il suono di un fischietto ne attiva un altro e così si sparge subito la voce che ci sono militari nella zona. Poi si aspetta su Signal il via alle operazioni. Al momento c’è una lista d’attesa di 800 persone per entrare nel gruppo di volontari. Secondo i leader di Hands Off NYC, la resistenza sta diventando tale che i furgoni dell’Ice non riescono più a muoversi a Manhattan senza esser prima intercettati da qualche “sentinella”. I partecipanti sono quasi tutti bianchi, e moltissimi sono anziani. Ci sono nonnine Wasp ed ebree di oltre 80 anni che abbandonano la maglia per rallentare gli arresti dei messicani. “I vecchi bianchi, a esser sinceri, hanno un sacco di tempo libero, e sono molto arrabbiati. E poi aiuta avere una che potrebbe essere tua nonna che ti urla ‘vergognati!’”, ha detto una delle leader del gruppo al NYMag. Il motivo per cui i diretti interessati – gli immigrati – non possono partecipare alle proteste e alle azioni di resistenza è ovvio: verrebbero arrestati subito e spediti in El Salvador. Sempre più persone si iscrivono e lo scorso fine settimana nella chiesa pentecostale di Brooklyn sono arrivati mille nuovi volontari. A oggi ogni giorno ci sono 500 volontari in città che pattugliano una ventina di quartieri a rischio, tutti armati di fischietti. Appena vedono una macchina sospetta con i vetri oscurati e senza targa avvertono gli altri. Alcuni scrivono sui muri: “Attenti, qui agenti Ice”. Alcuni si stanno organizzando per andare a prendere i ragazzini a scuola quando c’è pericolo di una retata, in modo che i genitori a rischio deportazione possano stare al sicuro. Molti raid dell’Ice infatti hanno luogo davanti alle scuole, quando i genitori vanno a prendere i figli. A ottobre un padre trentottenne, Villegas Gonzalez, è stato ucciso nei sobborghi di Chicago. Aveva appena accompagnato i figli a scuola e all’asilo. Era considerato un obiettivo dall’Ice perché aveva accumulato varie multe negli scorsi anni, tra cui una per aver guidato oltre il limite consentito (ma non aveva precedenti penali). Come molti immigrati lavorava in un ristorante – secondo l’Associazione nazionale ristorazione il 46 per cento degli chef e il 31 per cento del personale di cucina è nato all’estero. Gli arrestati sono spesso persone che non hanno regolarizzato il proprio ingresso, alcuni entrati legalmente, altri no. 

   

I diretti interessati, gli immigrati, non possono partecipare alle proteste e alle azioni di resistenza. Verrebbero arrestati e spediti a El Salvador

  
Anche Chicago, come New York e Los Angeles, è una delle città colpite dai raid trumpiani. New York per il mondo Maga è la culla dei marxisti intellettuali e della “liberal élite” (a Manhattan Kamala Harris ha preso oltre l’80 per cento contro Trump). Los Angeles è il fortino progressista delle celebrities di Hollywood e centro di accoglienza per messicani. Chicago è la patria di Obama, il nemico originario, il peccato originale contro cui il trumpismo ha combattuto dal giorno uno, città di afroamericani ricchi e di oltre cinquantamila richiedenti asilo arrivati negli ultimi tre anni dal confine a sud. Qui ci sono 150 mila immigrati senza documenti. Sono queste le Ztl odiate dal Trumpworld, con governatori che rispondono per le rime a Trump, e quindi più colpiti dalla Casa Bianca (anche in quanto possibili candidati dem per il 2028). Le leggi migratorie cadono sotto l’ombrello federale e i governatori non hanno una vera autorità, ma ognuno prova a fare quel che può. Il californiano kennediano Gavin Newsom ha spinto per una legge che vieti l’uso di maschere per gli agenti Ice. JB Pritzker in Illinois ha creato una commissione per giudicare le azioni degli agenti mandati da Washington invitando la popolazione a tirare fuori l’iPhone e fare video. Il sindaco di Chicago Brandon Johnson ha firmato un ordine esecutivo per impedire agli agenti federali di usare terreni di proprietà della città come aree di sosta. Il consiglio comunale sta pensando di creare delle zone “no-raid”, delle zone rifugio dentro gli edifici pubblici, che fungano anche da barriere morali, come le chiese. Un deputato della città ha creato un kit per immigrati in modo che possano essere aiutati, anche a trovare amici e familiari arrestati, senza il rischio di esser presi a loro volta. “Le cose si sono fatte troppo serie, il presidente ha trasformato in armi gli strumenti della democrazia”, ha detto il politico dem. Gli studenti di un liceo a Chicago hanno chiesto al proprietario di un parcheggio, di una zona sud della città, di vietare l’accesso ai furgoni dei federali. Dopo varie azioni di protesta in quel parcheggio gli agenti dell’Ice non si sono più visti, e per gli studenti è stata una vittoria.

  

A New York come a Chicago, volontari muniti di fischietti avvisano in caso di retate dell’Ice. Un suono ne attiva un altro, un allarme di solidarietà

  

Anche a Chicago ci sono organizzazioni che aiutano sempre di più gli immigrati, non solo con questioni legali – come ad esempio la regolarizzazione della permanenza – ma anche sul modo di affrontare l’arresto e la detenzione. Un preside di una scuola di Chicago ha scritto alcuni giorni fa una lettera al Guardian raccontando di quello che succede nelle classi. Un giardiniere viene trascinato via dal cortile mentre i bambini giocano. Alcuni studenti smettono di mangiare a mensa perché hanno paura a strisciare la loro carta dei buoni pasto per paura di essere individuati. Alcune classi sono semivuote, i genitori hanno paura a portare i ragazzi a scuola e così nascono gruppi di volontari per accompagnarli. E poi ci sono i leader locali religiosi e organizzazioni come “Live Free Illinois” che mobilitano le chiese afroamericane su temi sociali. Ogni venerdì organizzano sit-in e preghiere davanti alla sede cittadina dell’Ice e cercano di bloccare e ritardare i furgoni che partono per arrestare migranti. Un reverendo è stato colpito di recente con un proiettile di gomma – la cosa è stata brevemente virale sui social. E’ nata anche “Faith over Fear”, un’associazione che forma i membri del clero a reagire rapidamente alle incursioni degli agenti. Le chiese sono state a lungo dei luoghi sicuri, fino a che Trump non ha cambiato le regole, permettendo gli arresti anti-immigrazione nei luoghi sacri.

    

“In questo momento terribile”, ha detto David Black, reverendo della Prima Chiesa Presbiteriana di Chicago, “c’è una grande quantità di bontà che arriva dalle persone che imparano a organizzarsi. Nessuno aspetta il governo per venire a salvarci. E’ tra di noi che ci si tiene al sicuro e ci si organizza in reti di solidarietà, sapendo che la società non funziona se tutti tra noi non sono liberi e al sicuro”. Il reverendo ha ricordato che mai come ora “la fede Cristiana è viva. Capiamo che la Bibbia non riguarda un tempo remoto, e sappiamo da che parte è Gesù”. Oltre a questi Fra Tuck contro il Trump-principe Giovanni, anche qui, come a New York, sono nati gruppi di sentinelle che monitorano gli spostamenti dei Suv neri comunicando in chat crittografate. Anche qui tutti sono muniti di fischietti. Appena si sente il fischio ci si nasconde, si chiudono i negozi. E’ nato un servizio di sms, “Eyes on Ice”, per avvisare i residenti di possibili irruzioni. Alcune attività commerciali hanno iniziato ad attaccare sulla vetrina cartelli con scritto “Sanctuary Business”, cioè dei negozi santuario dove nascondersi. Il comune distribuisce adesivi da mettere nei ristoranti con scritto “qui sono vietati gli arresti anti-immigrazione”. “Arriva la Migra!” – è così che gli ispanici chiamano l’Ice – e in certi quartieri dopo i fischietti partono anche i clacson. E’ come se intere strade prendessero vita con un allarme comunitario, una sinfonia di allarmi di solidarietà. La rivista New Republic ha raccontato di alcuni volontari che sono stati fermati dall’Ice dopo aver suonato il fischietto. A uno di questi, un avvocato e attivista, è stata puntata una pistola addosso. “Esci dalla macchina o spacchiamo il finestrino e ti tiriamo fuori”, gli hanno detto. 

  

Le leggi migratorie cadono sotto l’ombrello federale, e i governatori non hanno una vera autorità. Ma ognuno prova a fare quel che può

  
Secondo il Deportation Data Project avvengono anche un migliaio di arresti al giorno per questioni migratorie. Ad agosto la media è stata di 500 arresti quotidiani su scala nazionale. Negli stati non antagonisti a Trump, cioè quelli repubblicani, spesso l’Ice è facilitata dalla polizia locale. Al momento ci sono oltre 70 mila persone in custodia, il 73 percento ha la fedina penale pulita. Se c’è una guerra civile in corso in America e se è la fine dell’impero statunitense, come sostengono allarmati alcuni giornali, gli eventi di resistenza alla migra mostrano che è ancora vivo un po’ dello spirito su cui è stata fondata la Repubblica. Diceva Thomas Jefferson, il più intellettuale dei padri fondatori, che “la legge è spesso il volere del tiranno, la è sempre quando viola i diritti degli individui”.