dopo il consiglio

Tre punti per Kyiv

Paola Peduzzi

I fondi europei, i vincoli del budget della difesa approvato dal Congresso americano, le sanzioni “che funzionano” 

Grazie per il risultato e per l’unità che avete dimostrato, ha detto Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, rivolgendosi agli alleati europei che nella notte tra giovedì e venerdì hanno approvato lo stanziamento di 90 miliardi di euro da destinare alla difesa ucraina, “insieme stiamo proteggendo il futuro del nostro continente”. Per gli ucraini questi fondi sono vitali, forniscono una garanzia finanziaria per i prossimi due anni alla resistenza dello stato, dell’esercito e quindi dei cittadini di un paese libero e sovrano che da quasi quattro anni vive sotto le bombe della Russia di Vladimir Putin. Come ha spesso detto Zelensky, l’Ucraina non ha alternative, deve continuare a combattere anche se i suoi alleati si spaventano per le minacce putiniane o, peggio, s’incapricciano delle proposte putiniane: è una questione esistenziale, o ci si difende o si muore. Per gli europei l’urgenza non è la stessa, anche se la minaccia è scritta in tutti i report d’intelligence del continente – se Putin conquista l’Ucraina, poi arriverà in Europa, e lo sta già facendo: con i droni che ci spiano, i sabotaggi, gli sconfinamenti, la disinformazione. Ma il senso di responsabilità si è fatto sentire e ha prevalso, nonostante l’ostilità di alcuni paesi membri dell’Ue (che senza i soldi europei non saprebbero stare in piedi) che per non indispettire Putin abbandonano l’Ucraina. 

La responsabilità è diventata ancora più pesante per l’Unione europea da quando gli Stati Uniti di Donald Trump hanno deciso di liquidare l’aggressione ingiustificata della Russia come un affare degli europei, di cui si devono occupare gli europei, riservandosi però al contempo il diritto di organizzare affari con i russi, perché i trumpiani – proprio come Putin – si sentono sempre defraudati e vogliono rientrare dell’investimento fatto per difendere l’Ucraina. 

Mentre gli Stati Uniti caracollano verso la Russia, l’Europa si ritrova a dover diventare autonoma tutto d’un colpo, e non si può dire che sia un processo facile – non lo è affatto – ma nella notte decisiva l’obiettivo principale è stato raggiunto: l’Ucraina ha i fondi che le servono. Il rischio politico di utilizzare i beni sovrani russi congelati nelle istituzioni finanziarie europee si è rivelato troppo alto per gli europei, e di certo le minacce e le pressioni fatte dai russi (l’amministratrice delegata della società finanziaria che in Belgio detiene la maggior parte degli asset in Europa gira con la guardia del corpo da un anno) e dagli americani hanno avuto un peso. Ma come ha spiegato Gideon Rachman, editorialista del Financial Times, il metodo alternativo di finanziamento che è stato trovato – il debito comune – “è meglio: non porta con sé rischi legali, è più semplice da replicare, rende l’Ucraina solvente. E mostra che il debito comune europeo è qui per restare, e questo è un passo cruciale per lo sviluppo dell’Ue”. Non tutti sono d’accordo, naturalmente, ma Tom Nuttall, corrispondente dell’Economist da Berlino (e il magazine britannico non è tendenzialmente ottimista quando si tratta di questioni ucraine), aggiunge che la “cooperazione rafforzata” che si è costituita nella notte negoziale e che permette ai paesi ostili – Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca – di non partecipare al finanziamento è sì un compromesso, ma è anche l’opportunità di “emarginare la lobby pro Putin in Europa: le minacce di veto hanno all’improvviso perso il loro potere”. Il dibattito non è concluso, anzi, si è appena aperto e le conseguenze di questo nuovo assetto le scopriremo nel tempo, ma l’obiettivo è stato centrato: servivano i soldi per l’Ucraina e i soldi per l’Ucraina ci sono.

Nella notte è arrivata un’altra buona notizia per Kyiv, questa volta da Washington, cosa ormai rara: il Congresso ha approvato il National Defence Authorization Act, la legge sul budget della difesa americana per il 2026, che prevede alcune cose essenziali (e in contrasto con il documento sulla Strategia per la sicurezza nazionale). Introduce nuove restrizioni alla riduzione delle truppe in Europa, autorizza la Baltic Security Initiative e la finanzia con 175 milioni di dollari che servono a Lituania, Lettonia ed Estonia per rafforzare la loro difesa (l’Amministrazione Trump non aveva previsto alcun fondo per questa iniziativa e il Pentagono ne aveva messo in discussione l’esistenza stessa) e impone nuovi controlli e trasparenza al Pentagono che non potrà più, come è accaduto durante l’estate, bloccare le forniture di armi senza consultarsi con nessuno. Il Congresso americano, come è giusto che sia, è più coerente con i cittadini che rappresenta: tutte le rilevazioni dicono che la maggior parte degli americani non vuole la capitolazione dell’Ucraina. 
 
Come accade da parecchio tempo, l’ultima buona notizia gli ucraini se la sono data da soli: continuano a colpire infrastrutture strategiche, piattaforme petrolifere e navi della flotta “ombra” russa, come la petroliera colpita nel Mediterraneo di cui ha dato notizie ieri Kyiv: sono le cosiddette “sanzioni che funzionano”, l’ennesima dimostrazione che il calcolo dei rischi che fanno gli ucraini è totalmente diverso dal nostro, ma questo lo sapevamo già, pure se “grazie” finora l’hanno detto soltanto gli ucraini a noi. 
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi