Da Oriente

Ecco a voi la Silicon India

Priscilla Ruggiero

Così Bangalore, la città manifesto del progresso di Modi, si è evoluta da “città giardino” a centro scientifico, fino a hub tech. Una data: 2047

Prima che Bangalore diventasse la “Silicon Valley indiana”, con “incubatori” di start-up, centri di intelligenza artificiale e  campus   come Google e Microsoft, la città  era   conosciuta dagli indiani come la “città Giardino” del sud dell’India, con 120 ettari nel Cubbon Park, viali alberati e giardini storici come il Lalbagh Botanical Garden. Oggi la città è cosmopolita e intellettuale, con negozi di libri universitari e non solo  in ogni angolo delle sue strade. Negli anni Sessanta si è modificata ancora, diventando il centro vitale della scienza e dell’industria aerospaziale del paese.  Il quartier generale dell’agenzia nazionale indiana per la ricerca spaziale, l’Indian Space Research Organisation (Isro) è ancora qui, è stata fondata nel 1969 ed è la quinta agenzia spaziale più grande al mondo, è qui che è stato sviluppato il Chandrayaan-1, “il primo  studio della Luna dall’orbita”, racconta V. Narayanan, segretario del dipartimento dello Spazio. A capo dell’agenzia Narayanan tiene a specificare che c’è  Narendra Modi, il primo ministro indiano che negli ultimi anni ha scommesso moltissimo sulla corsa spaziale (con un budget annuale di circa 135 miliardi di rupie) soprattutto in ottica anti cinese. Il mantra del Bharatiya Janata Party (Bjp) di Modi è “progresso”, una parola scritta a caratteri cubitali sui cartelloni pubblicitari della capitale Nuova Delhi, seguito da una data: 2047. Entro quell’anno la più grande democrazia del mondo deve diventare leader in tutti i settori, dice il Bjp, spazio incluso: “Abbiamo compiuto passi da gigante nei settori aerospaziale, della difesa e dell’intelligenza artificiale, ma i prossimi decenni sono cruciali se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo: non basta discutere di tecnologia o eseguire simulazioni, i nostri sforzi devono produrre risultati tangibili globali”,  tra questi ci sono proprio i lanci satellitari, le missioni Chandrayaan e i sistemi missilistici BrahMos e Agni, dice  l’ex consigliere scientifico del ministero della Difesa Vk Aatre. 

Il progresso che Modi cerca non può essere raggiunto senza le migliori menti del paese, e sempre qui, a Bangalore, c’è l’Indian Institute of Science, fondato nel 1909 per diventare “una  delle istituzioni accademiche più forti al mondo”, dice al Foglio Ramray Bhat, ricercatore dell’istituto che ospita circa 5.500  studenti che soggiornano o lavorano nel campus e  novecento corsi e seicento incarichi di docenti e personale: di qui è passato anche Shubhanshu Shukla,     il secondo indiano a viaggiare nello spazio  e il  primo a visitare il laboratorio orbitante della Nasa, “addestrato per la sua formazione magistrale in collaborazione con l’Indian Space Research  Organisation”. L’istituto è diviso in: scienze biologiche, scienze chimiche, scienze meccaniche ed elettriche. “Una delle cose che ci rende davvero unici sono le nostre scienze interdisciplinari, essendo in grado di fare un tipo di ricerca che non può essere relegata  né nella biologia né nella chimica. Trasformiamo l’arte e la scienza in un nuovo ordine, e  una delle ultime divisioni più innovative  è la fantascienza medica”. L’istituto collabora anche  con le start-up  della città e uno dei più grandi “incubatori” di progetti a Bangalore, con uffici nel verde e spazi polifunzionali è il C-Camp, centro per le piattaforme cellulari e molecolari che promuove  l’innovazione   per ricerca di biotecnologie,  tra cui spicca anche quella  contro il cancro,   rilevando le correlazioni con l’inquinamento, sempre più insostenibile nelle più grandi città  di  Nuova Delhi e Mumbai. Le  start-up gestite dal C-Camp sono diffuse in tutto il paese, sono più di seicento, mostra Mohammad Atif Alam, responsabile del programma  che supervisiona i servizi di ricerca, lo sviluppo commerciale e le partnership strategiche del campo, oltre cento sono finanziate dal governo e incentivate da collaborazioni con Germania, Svizzera, Norvegia e altri paesi europei.

A cinque chilometri dal C-C camp c’è l’Artgarage, anche se per raggiungerlo   sono necessari oltre trenta minuti bloccati nel traffico:   qui, grazie al “progresso” di Modi, è persino peggiore del traffico della capitale Nuova Delhi. In questo spazio espositivo nascono robot di intelligenza artificiale, alcuni completamente “made in India”, altri vengono testati con materiali cinesi e tecnologia indiana, per “testare i livelli di sicurezza prima che il software venga messo sul mercato  seguiamo particolari procedure”,  dicono i produttori della Strider robotics. Nello spazio ci sono anche costruttori di satelliti, impianti per la riabilitazione all’uso degli arti, e la base di Uncharted AI, robot guidati dall’apprendimento automatico e comunicazione decentralizzata per supportare l’implementazione coordinata di più risorse nelle missioni spaziali e terrestri   per le risorse minerarie. 
 Anche se già negli anni Ottanta e Novanta  aziende tecnologiche come  Infosys,  Wipro  e  Texas Instruments si erano iniziate a insediare qui a Bangalore, dando inizio alla nascita della Silicon Valley indiana,  è a  metà degli anni Duemila che l’ecosistema delle start-up è cresciuto notevolmente:   nel 2015 la società di ricerca Compass di San Francisco ha classificato Bangalore come il secondo ecosistema di start-up in più rapida crescita al mondo, ed è stata l’unica città asiatica, oltre a Singapore, a classificarsi tra i primi venti ecosistemi di start-up. Poi da qualche anno, con  l’arrivo dell’intelligenza artificiale  il centro tecnologico si  è spostato ulteriormente nel quartiere commerciale della Outer Ring Road, che  ospita sedi di aziende come Amazon, Google e Dell.  La crescita esponenziale non ha portato solo progresso alla città giardino, che oltre  a Cubbon Park ha sempre meno verde e più abitanti:  oggi Bangalore è arrivata a  13 milioni di abitanti e secondo la ricerca “Mega city Bangalore: Growth without boundaries”,  del professor Rama Subrahmanian del Dayananda Sagar Institutes di Bangalore   la popolazione sarebbe cresciuta con un record del 46 per cento in pochissimi anni.    

 

Manas Das, presidente dell’Outer Ring Road Companies Association, che rappresenta circa 500 aziende tra cui Adobe, Boeing e Intel, con uffici a Bangalore, racconta al Foglio i problemi che la città sta affrontando con la crescita tecnologica in questo distretto: l’associazione ha dovuto aiutare alcune delle più grandi aziende del mondo a reperire acqua per i distretti tecnologici, sempre sotto affanno, ma ha anche dovuto fare pressioni sulle autorità cittadine affinché si attivassero   per ampliare le strade e   convincerle a estendere una linea della metropolitana, a lungo in ritardo, fino al distretto.  Narendra Modi ha cercato di camuffare le difficoltà nella città  con una visita a Bangalore, solo pochi mesi fa,  inaugurando proprio una nuova linea   della metropolitana, pensata per risolvere il problema del traffico e dell’inquinamento, segnando anche  ulteriori progetti di trasporto pubblico per un valore di 2,6 miliardi di dollari: “Oggi, Bangalore sta emergendo come una città che è diventata il simbolo dell’ascesa della Nuova India”, ha detto il primo ministro indiano: “Nel Ventunesimo secolo, la pianificazione urbana e le infrastrutture urbane sono esigenze fondamentali per le nostre città”. Secondo la società di consulenza immobiliare Knight Frank, nella prima metà di quest’anno sono stati acquistati o affittati a Bangalore 1,7 milioni di metri quadrati di spazi per uffici, pari alla metà delle dimensioni di Central Park a New York e  a oltre un terzo del totale di tali transazioni in India: un numero superiore ai nuovi contratti di locazione di spazi per uffici a Bangalore per l’intero 2024.   La città è sempre più  soggetta a inondazioni  e il suo clima sta diventando ogni anno  più caldo.

Secondo molti esperti, il modello di Bangalore non può essere replicato in nessun’altra città, eppure un altro centro da qualche anno sta emergendo  sempre più imponente nel sud dell’India, nel nome del “progresso” di  Modi: Hyderabad. La città è preferita negli ultimi investimenti perché capace di  affrontare grandi sfide legate alla scarsità d’acqua, al contrario di Bangalore,  e negli ultimi anni si è evoluta diventando uno dei centri della tecnologia indiana,  la contendente più seria al primato tecnologico indiano.  Hyderabad è la capitale del Telangana, uno stato decennale i cui governi successivi hanno costantemente attirato investimenti: “Quando si parla di intelligenza artificiale, il mondo è ottimista sull’India”, ha detto soltanto la scorsa settimana  Modi  dopo l’annuncio del più grande investimento mai effettuato da Microsoft in Asia – 17,5 miliardi di dollari “per contribuire a costruire l’infrastruttura, le competenze e le capacità sovrane necessarie per un futuro incentrato sull’intelligenza artificiale in India”, ha annunciato il ceo dell’azienda, Satya Nadella, in una visita di quattro giorni tra Delhi, Bangalore e Mumbai. Non è un caso che Nadella sia di origine indiana, proprio di  Hyderabad,    e che già a gennaio abbia iniziato con un investimento di tre miliardi di dollari per trasformare il paese in “AI first”, nella  formazione di dieci milioni di indiani sull’intelligenza artificiale  entro il 2030 e in una nuova “regione cloud iperscalabile”, ovvero un cluster di data center, proprio a Hyderabad. Il giorno dopo l’annuncio di Nadella, anche Amazon aveva alzato la sua cifra d’investimento, annunciando   oltre 35 miliardi di dollari entro il 2030 dedicato “all’espansione delle capacità di intelligenza artificiale, al miglioramento delle infrastrutture logistiche, al supporto alla crescita delle piccole imprese alla creazione di posti di lavoro”. Il ministro dell’Informazione e della tecnologia indiana, Sridhar Babu, ha già trovato un modo per distinguere le due città evitando la  competizione : Hyderabad verrà soprannominata “AI City”, Bangalore rimarrà la Silicon Valley di Modi.


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