Foto Epa via Ansa
Il ferro di cavallo
L'eredità dei neocon e il salto generazionale che cambia tutto. Intervista a Sam Tanenhaus
Tra nostalgia neocon e populismo Maga, l’America cerca un antidoto a Trump: ma tra guerre culturali, folla digitale e una politica ormai post-consenso, il ritorno alle virtù borghesi rischia di parlare più al passato che al futuro
David Brooks ha scritto un articolo sull’Atlantic dal titolo “I neocon avevano ragione” (sottolineando: non sull’Iraq), “il tenore dei loro scritti politici potrebbero essere un antidoto al trumpismo”. Come molti, Brooks è un conservatore rimasto in qualche modo orfano dopo la presa di potere del Partito repubblicano da parte di Donald Trump. I repubblicani neverTrump – i Bush, i McCain, i Cheney, i Romney – in questi anni sono stati spinti nell’ombra, da cui è invece uscita una destra alternativa, antiglobalista, nazionalista e apocalittica.
Ne abbiamo parlato con Sam Tanenhaus, intellettuale e giornalista, che ha pubblicato di recente un libro che è stato subito considerato un capolavoro, “Buckley”, biografia titanica dell’uomo che più ha influenzato la politica conservatrice nel secolo scorso. I neocon possono essere davvero un antidoto a Trump come dice Brooks? Nel celebrarli, “David, che è un amico, si dimentica degli accordi e contrattazioni avute con attori sospetti. Uno su tutti: Richard Nixon. Il neocon Norman Podheretz (intellettuale e giornalista morto ieri a 95 anni) ha usato la stessa difesa verso Nixon che oggi gli intellettuali Maga usano con Trump: che era una vittima dei cinici democratici, che volevano distruggerlo a tutti i costi e che per loro fortuna hanno trovato il Watergate come strumento per farlo”. Sull’eredità dei neocon, poi, pesa George W. Bush, e la sua invasione dell’Iraq, che a lungo ha reso i democratici forti. “E va anche ricordato”, dice al Foglio Tanenhaus, “che non sono stati solo i democratici, ma anche Trump e i suoi supporter, tra cui Tucker Carlson, ad aborrire quel tragico esercizio di ingegneria sociale e di esportazione della democrazia. William F. Buckley Jr ci aveva messo in guardia: l’Iraq avrebbe potuto far crollare il GoP, così come il Vietnam aveva fatto crollare i democratici”.
Brooks difende l’idea di molti neocon delle origini secondo i quali è la cultura a guidare la storia, più che la tecnologia. Ma i social? “Figure come Tucker Carlson, il defunto Charlie Kirk, e ora l’irritante Nick Fuentes comandano su gruppi di seguaci più numerosi ed entusiasti rispetto a quelli che i neoconservatori abbiano mai potuto rivendicare. Quello che molti dipingono come il declino, o la distruzione, della ‘democrazia in America’ è in realtà proprio il contrario, è l’impennata di un altro pericolo democratico: il governo della folla”. Nell’articolo Brooks cita Tocqueville, per difendere un’idea di “spirito di civilizzazione”, dove politica, cultura, valori morali e spiritualità sono tutti uniti e necessari per creare una società democratica. “Ma David ci dà solo metà della storia: Tocqueville ha visto molte possibili minacce e pericoli nella democrazia americana. Non è solo la celebrazione vista dai neocon. E poi manca quella che potremmo chiamare ‘la metà di Beaumont’, cioè il compagno di viaggio di Tocqueville, Gustave de Beaumont, che scrisse anche lui un libro ispirato alla loro esperienza: ‘Maria, o della schiavitù negli Stati Uniti’”.
Brooks scrive che per combattere la crisi non valoriale bisogna tornare alle virtù borghesi, che si basano sulla “decenza”. Oggi però si parla di guerre culturali, più che di valori, e non c’è dubbio che i “culture warriors” più efficaci sono quelli Maga. A sinistra, invece non c’è nessuno, al massimo qualche influencer pro pal. Tanenhaus ci ricorda che esistono figure come l’influencer musulmano Hasan Piker, ma che non ha l’audience e i numeri di un Kirk – “la cui organizzazione, Turning Point, era, e resta, un business di successo, anche se è ufficialmente una no profit”. Il motivo di questa differenza, dice Tanenhaus, “è che i giovani attivisti a sinistra vedono il Partito democratico come maturo per essere conquistato, e quindi come un veicolo per un cambiamento serio. L’esempio più ovvio è Zohran Mamdani, che Steve Bannon, tra tutti, ha definito ‘un genio politico’. Il centro, sia il centrosinistra sia la destra antiTrump, sembra guardare indietro, conducendo campagne di retroguardia, per preservare e proteggere”. Inefficace, “in un momento in cui la politica ‘del ferro di cavallo’ – incurvatura degli estremi verso la convergenza – ha creato una politica ‘post consenso’. Su temi chiave – le guerre a Gaza e in Ucraina, la crescente minaccia della ricchezza della Silicon Valley, la richiesta di pubblicare i file Epstein – la sinistra e la destra sono sorprendentemente d’accordo. Questo dimostra che esiste una nuova politica generazionale”.
Ci conviene essere maialini coraggiosi