Ansa
Editoriali
L'attacco Isis agli americani in Siria e il dilemma dell'affidabilità di al Sharaa
L’attentato a Palmira riporta alla luce le infiltrazioni jihadiste nelle forze siriane alleate degli Usa. Il rischio delle alleanze “green on blue”
L’attentato dell’Isis che ha ucciso tre americani sabato a Palmira, in Siria, ha aperto un tema che covava da tempo fra le pagine dei piani del Pentagono su come combattere lo Stato islamico congiuntamente alle forze di sicurezza siriane, composte in parte da ex jihadisti. L’attacco durante l’incontro che tenevano un colonnello americano e un funzionario del ministero dell’Interno siriano sulle operazioni militari contro l’Isis è stato lanciato da un uomo del servizio di sicurezza del presidente Ahmed al Sharaa e rivela le capacità di infiltrazione dello Stato islamico. Dai tempi dell’Afghanistan, gli americani le chiamano in gergo operazioni “green on blue”, dove il verde indicava le forze regolari afghane alleate e il blu le forze della Nato.
Accadeva spesso che i talebani riuscissero a infiltrarsi tra gli afghani e a colpire dall’interno le unità della coalizione internazionale. E’ successo altre volte in Siria, con i curdi, e ora lo schema è simile. L’assalitore era un membro dell’Isis dal 2014 e alla caduta del regime si era spostato dalla Badya – il deserto dell’est – a Idlib assieme ad altri miliziani e si era unito alle forze regolari, fino a quando non ha deciso di attivarsi e attaccare. I controlli delle nuove autorità siriane sulle reclute non si sono dimostrati sufficienti e sono arrivate tre note stonate: il silenzio di al Sharaa, il mancato riferimento in qualsiasi comunicato ufficiale siriano al fatto che l’assalitore era un membro delle forze di sicurezza, le scuse poco credibili avanzate da Damasco per spiegare perché l’uomo, pur essendo sospettato di essere dell’Isis, fosse ancora nei ranghi. Se le operazioni “green on blue” sono un rischio che gli americani hanno accettato accogliendo le Forze armate siriane nella coalizione internazionale anti Isis, restano due fatti oggettivi. Il primo è che non si può essere certi della buona fede di un esercito composto da ex jihadisti. Il secondo è che il numero e la portata degli attentati dell’Isis sono in crescita nell’ultimo anno. Dopo l’attacco, Donald Trump ha speso parole concilianti nei confronti di al Sharaa, che però, come tutti, conosce bene la volubilità del presidente americano.