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L'elezioni
La rinnovata dottrina Monroe-Trump applicata all'Honduras
Il paese è sospeso in un limbo elettorale: la sinistra ha già perso ma chiede di annullare le elezioni, e il testa a testa ora è tra il candidato moderato e quello di destra, sostenuto dal presidente americano che punta a ristabilire il controllo politico in Sud America
L’Honduras ha votato dieci giorni fa e ancora non sa chi ha vinto. Di sicuro si sa chi ha perso: il partito Libre (Libertad y Refundación) della presidente uscente Xiomara Castro, moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya, storico alleato nella regione delle dittature socialiste di Venezuela, Cuba e Nicaragua.
Lo spoglio va avanti al rilento, in un testa a testa tra il candidato di destra del Partido Nacional, Nasry Asfura, e il candidato più moderato del Partido Liberal Salvador Nasralla, entrambi appaiato attorno al 40 per cento. Con uno scrutinio del 99,4 per cento il candidato di destra Asfura, sostenuto da Donald Trump, è in vantaggio di 42 mila voti, ma ci sono molte contestazioni per i ritardi, errori tecnici, sospensione nella trasmissione dei dati e sospetti di brogli. Naturalmente i due candidati, che a un certo punto erano separati da poche centinaia di voti, hanno ripetutamente sollevato dubbi sul sistema e chiesto il riconteggio.
Ma il paradosso è che a chiedere l’annullamento delle elezioni è chi ha certamente perso e, essendo al governo, ha avuto la responsabilità di garantire la regolarità e la trasparenza del voto. Rixi Moncada, la candidata dell’estrema sinistra ora al governo, si è fermata al 19 per cento – meno della metà dei voti degli altri due rivali – eppure il suo partito ha già chiesto l’annullamento amministrativo del voto nei 19.167 seggi elettorali.
E la presidente Xiomara Castro ha denunciato “un colpo di stato elettorale in corso”, riferendosi all’endorsement esplicito di Donald Trump a favore di Asfura e ai messaggi del presidente degli Stati Uniti durante lo spoglio sul tentativo di cambiare il risultato (“Se lo faranno, ne pagheranno le conseguenze!”, ha scritto Trump sui social). “Condanno l’ingerenza del presidente degli Stati Uniti Donald Trump – ha detto la presidente Castro – che ha minacciato il popolo honduregno”, aggiungendo che denuncerà il caso alle Nazioni Unite e nelle organizzazioni internazionali. Una posizione singolare da parte di chi, come la coppia Castro-Zelaya, sostiene la legittimità del regime di Nicolás Maduro in Venezuela dopo i clamorosi brogli alle ultime elezioni. Di certo, a meno che la sinistra non tenti un golpe, Maduro ha perso un alleato visto che anche il candidato liberale Nasralla ha annunciato l’intenzione di rompere le relazioni con Caracas.
La forte attenzione di Trump alle elezioni di un piccolo paese come l’Honduras – alla vigilia del voto la Casa Bianca ha graziato l’ex presidente honduregno Juan Orlando Hernández condannato per narcotraffico – è l’ennesimo segnale di una politica estera che punta a ristabilire il predominio statunitense sull’emisfero americano.
Washington sta usando tutte le leve possibili: minacce nel caso del controllo del canale di Panama, dazi contro i governi di sinistra di Colombia e Brasile, aiuti finanziari a favore dei governi amici come in Argentina, endorsement nelle elezioni come in Honduras, invio di portaerei e possibile intervento militare contro i regimi ostili come in Venezuela. E’ l’applicazione del corollario Trump alla dottrina Monroe di cui parla la nuova National Security Strategy.