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l'editoriale dell'elefantino

L'Europa deve ripensarsi o ci attenderanno anni ancora più frustranti

Giuliano Ferrara

La Casa Bianca usa un linguaggio brutale, distribuisce schiaffoni, la risposta è una beneducata frustrazione, l’assenza di orgoglio e senso di sé. Serve risolvere il problema del potere e della propria legittimazione. Prima che sia davvero troppo tardi

Tra i commenti corrieristi (Monti, De Bortoli, Buccini), alcuni hanno messo in rilievo con vivacità e impertinenza che la debolezza dell’Europa, nella risposta a Trump e alla delineazione del nuovo mondo contenuta nella National Security Strategy, si vede di primo acchito dal tono evasivo, impacciato e certo non squillante, delle risposte arrivate da Bruxelles, spesso delegate ad alti funzionari e comunque defilate rispetto alla durezza e concretezza degli argomenti d’accusa degli Stati Uniti. Menare il can per l’aia. Dove vai? Porto pesci. Vecchi motti descrivono bene la situazione. Ora peggiorata da dichiarazioni presidenziali americane: un piazzista come Zelensky – dice il Potus – ha estorto alcune centinaia di miliardi alla Ue che, raggirata dal disonesto Biden, ha passato quattro anni a contenere senza effetto, e con esito finale di sicura sconfitta da ratificare ora con un accordo capestro inevitabile, l’avanzata blindata della Russia in Europa. La Casa Bianca usa un linguaggio brutale, distribuisce schiaffoni, la risposta è una beneducata frustrazione, l’assenza di orgoglio e senso di sé, il silenzio dei capi delle nazioni dell’Ue, sostituiti da anonimi portavoce.

                                   

 

Bisogna però ricordare, non per giustificare o condannare ma per spiegare, che l’Europa non è fino in fondo un soggetto politico e paga questo difetto di legittimazione con una frustrante subalternità. La Brexit, che precedette di pochi mesi il terremoto Maga in America, nacque tra le altre cose dall’idea di rigettare un superstato europeo. Ma ciò contro cui votò la maggioranza dei britannici era una struttura istituzionale sovranazionale fondata sopra tutto su una burocrazia non elettiva, un sistema politico intergovernativo soggetto a diritti di veto, una griglia di regole faticosamente costruita nei decenni per consentire un mercato unico incompleto e un’impostazione mercantilista sboccata nella moneta unica, ingentilita e adornata da omaggi all’Ideale.

Il federalismo europeo è una battaglia persa da moltissimi anni, e sempre agitata con contorni fumosi. Esiste una ideologia europea, quella delle élite, dei mercati e del modo di vita prevalente nella società, a partire dalla centralità del welfare, dei diritti civili e del fantasma del diritto internazionale, che è forse l’ultimo scampolo nel mondo di una democrazia liberale in senso pieno; ma non esiste una politica suffragata dagli strumenti tipici del potere legittimo, primo fra tutti il monopolio della forza. Le autocrazie in competizione per il nuovo mondo con gli Stati Uniti il monopolio della forza, interno e esterno ai confini statali (il potere di guerra), lo esercitano in tutta sicurezza. Il potere di mandato americano, fornito di autorità esecutiva immediata e ormai sempre meno soggetto a limiti, ha la sua radice nel colpo inferto al vecchio establishment di cultura transatlantica dalla rivolta trumpista, dal movimento Maga. E il rule of law, emigrato con la Brexit anche solo come modello, è cosa diversa dalla trama regolativa svincolata da un sistema parlamentare e costituzionale.

Noi un Parlamento vero e una vera Costituzione non li abbiamo, la Costituzione l’abbiamo perfino rigettata come inattuale con il voto. Abbiamo i vecchi e nuovi trattati e una prassi di lavoro comune cresciuta su sé stessa e nelle cose da fare (importanti, è innegabile), che però nel contesto euroatlantico potevano essere uno schema funzionale, con una divisione delle parti che fu fissata dai criteri della Guerra fredda, mentre oggi sono una legittimazione debole per avere una voce rilevante nel nuovo ordine internazionale in formazione. In qualche modo è passata l’idea che Angela Merkel abbia “sbagliato” a fidarsi di Putin per l’energia e il resto. Una verità molto parziale e deformata, se non una caricatura: in realtà la Germania, dalla Ostpolitik all’idea del cambiamento attraverso il commercio, Wandel durch Handel, era l’espressione idonea della politica possibile di contenimento dell’espansionismo russo in quel quadro europeo e mondiale poi rivoluzionato dalla rivolta populista e tendenzialmente illiberale di Trump e del suo movimento di massa, e dal rinascimento eurasiatico.

Tutto questo per concludere sommariamente che l’Europa si deve ripensare a fondo (un nuovo progetto costituzionale? una costituente? un accordo o una serie di accordi a partecipazione ridotta?), perché se non è risolto il problema del potere e della sua legittimazione, che fonda una leadership e le conferisce la voce nel concerto delle nazioni, non è risolto nulla e possono passare anni duri e ancora più frustranti in attesa di fantasmi come la Difesa o una politica estera comune.

 

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.