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L'editoriale del direttore
Tra un occidente diviso e un'Europa più forte, scegliere da che parte stare non è difficile: basta volerlo
Per Trump il nostro continente non è un alleato da rafforzare, ma un problema da ridimensionare. Decidere che strada imboccare, oggi, per l’Italia significa non aver paura di isolare i trumpismi, anche se questo può essere doloroso per i propri alleati e partner
Tra le innumerevoli conseguenze negative generate dal drammatico documento sulla sicurezza nazionale vergato la scorsa settimana dal presidente degli Stati Uniti ce n’è una molto positiva che riguarda un effetto concreto e poco esplorato della dottrina Trump: la necessità di scegliere con forza da che parte stare. Il documento sulla sicurezza nazionale è stato analizzato in ogni suo angolo e in ogni sua sfumatura e si è scritto a lungo di quanto Trump, in perfetta sintonia con la dottrina Putin, consideri l’Europa inutile, dannosa e pericolosa e consideri necessario per dare il colpo di grazia all’Europa organizzare una resistenza interna ai singoli paesi membri per ridare ai paesi europei la sovranità che l’Europa non riesce a regalargli. Si potrebbe far notare che se la crisi dell’Europa fosse così irreversibile come sostiene Trump non sarebbe necessario mobilitare truppe di “patrioti” antieuropeisti pronti a organizzare una resistenza contro l’Europa: se l’Europa fosse davvero così debole, Trump e Putin non dovrebbero dedicarle così tante attenzioni.
Ma quel che forse ha più senso far notare riguarda un particolare cruciale che ha a che fare con il disvelamento di un gioco ormai esplicito che riguarda tutti coloro che in Europa, di fronte alle parole di Trump, piuttosto che balzare sulla sedia hanno scelto di applaudire la retorica trumpiana. La retorica di Trump ha come obiettivo esplicito quello di indebolire le istituzioni comuni, alimentare la guerra culturale contro le élite europee, trasformare l’Europa nel capro espiatorio dei mali di ogni paese membro, aggredire la sovranità europea e rendere l’Europa più debole, più vulnerabile, più ricattabile. L’obiettivo di Trump, come sempre, è quello di tutelare l’interesse dell’America che ha a cuore, quella isolazionista, quella protezionista, quella nazionalista, per provare a rendere l’Europa meno attrattiva, meno competitiva, meno concorrenziale. Si può capire che lo stesso obiettivo lo possa avere Putin, che ha paura dell’Europa almeno quanto ne ha Trump, ma il gioco esplicito del presidente americano costringe i suoi follower a fare i conti con una realtà che più chiara non si può: chiunque abbia a cuore, in Europa, le parole d’ordine del trumpismo, che sono anche quelle del putinismo, porta avanti l’agenda Trump con l’unico scopo di fare gli interessi dei paesi che vogliono indebolire l’Europa perché sanno che un’Europa più piccola e più divisa può aiutare l’Europa a contare di meno e a soffrire di più. La dottrina Trump, la sua esplicitazione, ha mostrato in modo chiaro un disegno all’interno del quale i follower del trumpismo, sognando un’Europa più debole, hanno scelto, da veri nemici del popolo, di essere senza infingimenti patrioti delle leadership canaglia che vogliono aggredire i nostri interessi nazionali.
Ci sono patrioti che fanno il gioco esplicito di Putin e Trump, come quelli che si trovano nel gruppo europeo dei patrioti, e che si capisce possano essere sostenuti dal presidente americano e da quello russo, al momento solo politicamente un domani chissà. Ma ci sono invece patrioti che – spinti dall’idea di poter prosperare nel caos – rischiano di fare il gioco di Putin e di Trump in modo passivo, scegliendo cioè di non mettere in campo tutta l’energia possibile per aiutare l’Europa a essere più forte sui due unici grandi temi che contano. Il primo tema è di carattere geopolitico e riguarda la difesa dell’Ucraina.
Il secondo tema è di carattere politico e riguarda la necessità di combattere in Europa l’unica battaglia che conta per rendere l’Unione più forte, più veloce, più efficiente: lottare per superare il criterio dell’unanimità nelle scelte che contano. Su questi due fronti, l’Italia guidata da una maggioranza formata da non trumpiani (Forza Italia), trumpiani (Lega), semi-trumpiani (Fratelli d’Italia) si presenta in ordine sparso. Con buoni propositi sull’Ucraina (e speriamo che dall’incontro di oggi tra Meloni e Zelensky esca qualcosa in più di un abbraccio affettuoso: più impegni, meno parole), anche se l’accelerazione dell’aggressione trumpiana sta spingendo i leader meno trumpiani a costruire triangolazioni che tendono a escludere leader che sul trumpismo tergiversano (Regno Unito, Francia e Germania formano ormai, sull’Ucraina, un terzetto di guida dove l’Italia fatica a trovare spazio). Con pessimi propositi sul tema del superamento dell’unanimità in Consiglio europeo (anche se nel governo a fare pressioni per andare in quella direzione vi è un pezzo da novanta come Giancarlo Giorgetti, che in dissenso sia da Matteo Salvini sia da Giorgia Meloni predica a vuoto da anni la necessità di lavorare a un’Europa in grado di decidere a maggioranza sulle partite che contano).
Per Trump, lo abbiamo capito, l’Europa non è un alleato da rafforzare, ma un problema da ridimensionare e per questo Trump (come Putin) vuole nazioni forti, istituzioni sovranazionali deboli, con un’Europa frammentata e gli antieuropeisti nuovamente al centro della carreggiata. Decidere che strada imboccare, oggi, per l’Italia significa anche questo: non aver paura di isolare i trumpismi, anche se questo può essere doloroso per i propri follower, per i propri alleati, per i propri partner. L’occidente unito è una bella utopia. Ma se la scelta oggi è tra avere un occidente diviso e un’Europa più forte, scegliere da che parte stare, smascherando i patrioti putiniani e trumpiani, non dovrebbe essere così difficile: basta solo capirlo, basta solo afferrarlo, basta solo volerlo. A meno di non volersi rassegnare ad assecondare lo scenario che Trump e Putin desiderano con tutto il cuore: aggredire la sovranità europea, rendere l’Europa più debole, più vulnerabile, più ricattabile, e rendere i suoi paesi membri dei topolini pronti, in giro per il mondo, a essere schiacciati in un mondo dominato da nuovi e vecchi elefanti.