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In Siria

L'attivista di Suwayda: “La coesistenza è impossibile”

Luca Gambardella

Dopo settimane di scontri armati e oltre duemila morti, la città stato del sud della Siria è divisa fra chi chiede di abbandonare la via di al Hijri e chi sostiene la sua Guardia nazionale: "Chiediamo che al Sharaa si fermi e cancelli l’ordine di commettere massacri settari contro il popolo”, dice Lubna al Basat

Suwayda è il teatro del più grave fallimento di Ahmed el Sharaa, che l’estate scorsa ha tentato di rispondere con la forza all’intemperanza dei drusi di Hikmat al Hijri, uno dei principali leader spirituali. Dopo settimane di scontri armati che hanno lasciato oltre duemila morti, la città stato del sud è divisa fra chi chiede di abbandonare la via più massimalista di al Hijri e chi invece sostiene la sua Guardia nazionale, un ombrello di milizie creato lo scorso luglio per resistere alle forze di Damasco. Ma se il leader druso diffonde comunicati che stigmatizzano gli abusi, le violenze e la prepotenza di Sharaa, lui stesso non esita a impiegare la forza per reprimere il dissenso, anche fra gli stessi drusi. La settimana scorsa, la Guardia nazionale ha catturato, torturato, umiliato e ucciso due sceicchi drusi – Raed al Matni e Maher Falhout – colpevoli di volere riconoscere le forze di Sharaa. Le immagini dei loro corpi martoriati, con la i baffi tagliati come massimo affronto per un’autorità drusa, sono state pubblicate sui social.

   

  

“La situazione qui è ancora instabile per colpa delle forze governative che sono presenti nelle campagne a nord e a ovest di Suwayda. Circa 180 mila residenti di 35 villaggi sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, distrutte e date alle fiamme”. Lubna al Basat, attivista siriana che da anni manifesta contro il regime e che risiede a Suwayda, dà voce ai tanti che, a distanza di un anno, sono disillusi. “Oggi, chiediamo che Ahmed al Sharaa si fermi e cancelli l’ordine di commettere massacri settari contro il popolo”. Una tesi che le autorità rigettano, opponendo la versione opposta, ovvero che siano i drusi, aiutati dagli israeliani, a esercitare violenza contro i beduini sunniti. La distanza fra Damasco e Suwayda è profonda, probabilmente incolmabile. “I nodi della discordia sono il meccanismo di governo, la Costituzione e la nostra richiesta di separare la religione dalle istituzioni statuali attraverso un sistema secolare che includa tutte le componenti del popolo siriano”, spiega Lubna al Foglio. A suo avviso, un modo ci sarebbe. “Serve un sistema federale, che aiuti ogni regione a difendere la propria identità e la propria cultura. Credo sarebbe una soluzione realistica per la Siria di oggi, viste le differenze ideologiche e culturali al suo interno e vista la presenza di un’autorità terrorista che ha ucciso oltre 2.500 persone a Suwayda. La coesistenza è diventata inaccettabile”.

 

Una chiusura netta, che ricalca nei toni quella curda a est, ma che stona con le piazze che in questi giorni di festa per il primo anniversario della caduta del regime urlano invece che “la Siria è una sola”. “Sharaa non sta costruendo una Siria democratica. Sta solo imponendo il suo controllo con la forza”, dice Lubna, che però crede ancora che il futuro della Siria e delle speranze democratiche del paese siano legate al volere dei siriani. “La chiave per il progresso del paese – dice – è il rifiuto del popolo nei confronti di questo autoritarismo”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.