Foto Amer Matar  

La testimonianza

Amer Matar: “Non vogliono far sapere la verità sul regime”

Luca Gambardella

Nei Damascus Dossier ci sono anche diecimila foto dei corpi dei dissidenti martoriati dal regime. “E’ come se non volessero che si scopra la verità sul passato. E dopo un anno molte famiglie non sanno ancora che ne è stato dei loro cari", dice il giornalista e filmaker siriano

“Fino a stamattina, mia madre mi ha chiesto al telefono se tra le foto del Damascus Dossier avevo trovato quella di mio fratello, catturato dall’Isis. Anche se sembra illogico, perché quei file riguardano solo le torture commesse dal regime, è così che funziona il cuore di una madre, il cuore dei famigliari. Hanno bisogno di ogni tipo di speranza e di informazione per sapere dove sono le persone che stiamo aspettando”. Amer Matar, giornalista e filmaker siriano, parla al Foglio a due giorni dalla rivelazione degli orribili documenti che svelano solo una piccola parte del Damascus Dossier, decine di migliaia di file sui segreti del regime assadista. Sono 10 mila foto di corpi senza vita, torturati con pedissequa crudeltà per anni, fino all’ultimo respiro.

 

“Sono riuscito a guardarne solo alcune, perché sono orribili”, dice Amer, che pure conosce quel dolore sia da recluso – nel 2011 fu arrestato e torturato in carcere – sia da famigliare degli scomparsi – suo fratello, fotoreporter, fu catturato dall’Isis nel 2013, mentre lavorava a Raqqa. Fuggito in Germania, Amer ha testimoniato contro il colonnello dell’intelligence assadista, Anwar Raslan, processato e condannato a Berlino per le violenze condotte e ordinate in Siria. Dal dolore della ricerca disperata del fratello di Matar è nato il Museo delle Prigioni siriane, un luogo in cui, anche con l’aiuto della realtà aumentata, i documenti, le foto, i video e gli oggetti della repressione, delle sparizioni e delle torture del regime e dell’Isis sono conservati, per coltivare una memoria collettiva, ma anche per testimoniare la volontà di non arrendersi alla perdita, la voglia di continuare a indagare alla ricerca della verità. su alcune tra le centinaia di migliaia di persone fatte sparire dai servizi segreti negli anni. “Tutto è iniziato 8 anni fa – racconta Amer – Nel 2017 ho iniziato a raccogliere materiale, approfittando del fatto che l’Isis cominciava a perdere il controllo di alcune aree. Ho pensato: bisogna dire a tutti cosa c’è qui, cos’è successo in questo palazzo, cos’è successo in quell’altro. Abbiamo raccolto documenti, abbiamo indagato su fosse comuni e carceri”. Il museo ha aperto a settembre, ma dalle nuove autorità non è arrivato alcun aiuto, anzi, ride amaramente Matar, “hanno provato a chiuderlo, ci hanno fatto la guerra, mi hanno persino arrestato. E’ folle: abbiamo lottato tanto per trovare questi documenti, queste prove contro il regime, ma ora siamo i nuovi nemici per le autorità, che stanno usando persino le stesse carceri che usava Assad. E’ ingiusto, è illogico”.

   

Foto Amer Matar
  

Anche per il Damascus Dossier, spiega il giornalista, non hanno mostrato alcun riguardo per le famiglie. “Sono state lasciate sole, hanno scoperto quelle foto dai giornali”. Troppi segreti, troppi coinvolgimenti che hanno riguardato per decenni anche alcuni paesi occidentali a sostegno del regime, come svelato dai primi file diffusi pochi giorni fa. “E’ come se non volessero che si scopra la verità sul passato. E dopo un anno molte famiglie non sanno ancora che ne è stato dei loro cari. E’ un loro diritto sapere ed è una questione di rispetto”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.