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Poche alternative

L'Obamacare non è così facile da sostituire come credevano i repubblicani

Matteo Muzio

Ancora una volta il partito di maggioranza va in ordine sparso, e il presidente appare ancora una volta ondivago: da un lato dice di voler “lasciare più soldi in tasca” agli americani, dall’altro lato propone di estendere i sussidi

Da molti anni c’è un totem che il Partito repubblicano americano vuole abbattere a ogni costo: la riforma sanitaria varata da Barack Obama. Confusionario e burocratico, disugualmente distribuito tra aree rurali e urbane, inizialmente il nuovo sistema – l’Obamacare – era molto impopolare. Abolirlo sembrava facile. Ma anche Donald Trump, già durante il suo primo mandato, aveva scoperto quanto invece fosse difficile rimpiazzarlo. Alla vigilia delle scorse elezioni presidenziali, il presidente aveva dichiarato di avere “un concept di piano”. E adesso? Si è tornati a parlare di Obamacare alla vigilia dello shutdown, iniziato lo scorso primo ottobre proprio sul mancato accordo sull’estensione dei sussidi federali che servono a tenere bassi i prezzi dei premi assicurativi sanitari. Dopo quarantatré giorni, il capogruppo repubblicano al Senato ha lanciato una proposta: mettere fine allo shutdown in cambio di un voto sui sussidi. I critici hanno bocciato la proposta come un inutile rinvio che faceva il gioco di Donald Trump, ma otto senatori democratici hanno accettato. E la prossima settimana questo voto arriva. E ancora una volta il partito di maggioranza va in ordine sparso. Al contrario, i democratici nella giornata di giovedì hanno presentato la loro proposta unitaria con un annuncio del loro leader al Senato.

L’idea è semplice: un’estensione triennale dei sussidi su cui ci si aspetta la convergenza dell’intero gruppo. Chuck Schumer ha detto che “i repubblicani hanno una settimana per decidere da che parte stanno. Se votano questa legge, abbatteranno i costi oppure faranno schizzare i premi verso l’alto”. Secondo queste dichiarazioni, ci sono già 47 voti. E i repubblicani? Finora nulla di fatto. A dominare le discussioni, sia pubbliche sia dietro le quinte, è stata la considerazione squisitamente politica sulle conseguenze devastanti che l’aumento previsto a partire da gennaio avrebbe sui cittadini. In alcuni casi si tratta di mille dollari in più al mese. In tal caso sarebbe un’opzione praticabile abbandonare il sistema e rinunciare alla copertura. Tanto la multa prevista dal sistema iniziale è stata cancellata durante il primo anno di presidenza Trump, nel 2017. Gli elettori però, se ne ricorderebbero. E punirebbero severamente il presidente. Alcuni sondaggi ventilano scenari con i democratici che conquisterebbero 300 seggi.

E allora ecco che il capo della commissione Sanità del Senato, Bill Cassidy della Louisiana, cerca di stilare un piano con il collega dell’Idaho Mike Crapo che si può sintetizzare con la creazione di conti-salute su cui le famiglie possono accantonare soldi da destinare a spese sanitarie impreviste. Ma i dettagli non ci sono. E la proposta scontenta sia i moderati come la senatrice Lisa Murkowski dell’Alaska, dove gli aumenti impatterebbero su un’ampia fetta della popolazione, così come i conservatori come Ron Johnson del Wisconsin che l’ha definita “non seria”. Estremamente vaga appare anche l’idea di Rick Scott, fedelissimo trumpiano della Florida, che propone l’adozione dei “borsellini di Trump” con cui pagare piani assicurativi fuori dal sistema dell’Obamacare.

Il presidente cosa pensa? Come spesso avviene, appare ondivago: da un lato dice di voler “lasciare più soldi in tasca” agli americani e non “alle avide compagnie di assicurazione”, che di fatto vuol dire lasciare la spesa sanitaria in mano alle possibilità dei singoli individui, colpendo pesantemente le fasce più povere. Dall’altro lato propone di estendere i sussidi, probabilmente cambiando idea all’ultimo momento, come rivelato da un retroscena della Cnn, per attribuirsi il merito. Ancora una volta quindi si rivela come il sistema inaugurato da Obama nel 2010, un mix di pubblico e privato concepito su un vecchio progetto del think tank conservatore Heritage Foundation e applicato da Mitt Romney quando era governatore del Massachusetts, dal 2003 al 2007, sia molto difficile da sostituire, perché ha acquisito popolarità nel corso degli anni. Questo per il presidente attuale è difficile da digerire, data l’animosità che serba nei confronti del suo predecessore. Un accordo appare quindi molto difficile anche qualora al Senato l’azzardo di Schumer riesca e ben 13 senatori repubblicani si uniscano: lo speaker della Camera Mike Johnson ha già detto che non farà votare la proposta senza l’accordo della Casa Bianca. Che a quel punto diventa l’unica possibilità per giungere a un punto di caduta: un voltafaccia improvviso (ma non inedito) da far digerire a una base alimentata a pane e odio per la “sanità socialista”.