La Bce blocca il maxi-prestito all'Ucraina. Lo stop che mette in crisi il piano europeo sugli asset russi
Francoforte rifiuta di garantire il prestito da 140 miliardi proposto dalla Commissione, giudicandolo incompatibile con il proprio mandato. Si complica il tentativo dell’Ue di finanziare Kyiv utilizzando le riserve russe bloccate presso Euroclear e si riapre il dibattito su rischi legali, finanziari e sulle alternative
Secondo quanto riportato dal Financial Times e ripreso da numerose testate europee, la Banca centrale europea ha respinto la richiesta di fornire garanzie per un maxi-prestito da circa 140 miliardi di euro destinato all’Ucraina. La proposta, avanzata dalla Commissione europea, prevedeva di utilizzare gli asset della banca centrale russa congelati in Europa – in gran parte depositati presso Euroclear, il depositario titoli con sede in Belgio – come garanzia per un cosiddetto “prestito di riparazione”, destinato a sostenere il bilancio di Kyiv e a coprire i costi della guerra e della ricostruzione. Dopo l’analisi condotta nelle ultime settimane, la Bce avrebbe però concluso che assumere il ruolo di garante costituirebbe una violazione del proprio mandato, che impedisce alla banca centrale di finanziare direttamente governi o di assumere rischi che si configurino come sostegno monetario indiretto.
La decisione dell'Eurotower arriva in un momento in cui l’Unione europea sta cercando con crescente urgenza nuovi strumenti finanziari per sostenere l’Ucraina, mentre le necessità di bilancio del paese continuano a crescere e gli aiuti internazionali risultano più difficili da mantenere. Proprio oggi Il governo svedese ha annunciato un nuovo pacchetto di supporto per Kyiv di 1,1 miliardi di corone svedesi (pari a circa euro 100,2 milioni di euro). Per quanto riguarda Bruxelles, l’idea di un prestito di dimensioni eccezionali è nata nella seconda metà del 2024 come evoluzione di un meccanismo già esistente: quello che permetteva di utilizzare i profitti maturati dagli asset russi congelati per finanziare parzialmente l’assistenza al paese invaso. In quella fase l’Ue aveva già destinato alcuni miliardi di euro ricavati dai rendimenti dei fondi bloccati, ma con l’aggravarsi della situazione è emersa la necessità di uno strumento più ambizioso e strutturato.
Gli asset della banca centrale russa congelati in Europa ammontano a oltre 200 miliardi di euro, dei quali la quota più rilevante è custodita proprio da Euroclear. La Commissione ha quindi immaginato un meccanismo nel quale tali risorse sarebbero rimaste formalmente di proprietà russa ma sarebbero state utilizzate come garanzia per raccogliere sul mercato 140 miliardi di euro, destinati immediatamente all’Ucraina. L’idea poggia sul principio politico secondo cui sarebbe “la Russia a pagare i danni della guerra”, ma senza procedere alla confisca diretta delle riserve – un passaggio che molti stati membri considerano rischioso dal punto di vista giuridico e dei rapporti internazionali.
La proposta ha però sollevato dubbi crescenti sin dalla sua presentazione. Da un lato, vari analisti, ma anche la stessa Euroclear, hanno avvertito che un uso così esteso e innovativo di beni sovrani congelati potrebbe essere percepito come una confisca mascherata, con ripercussioni potenzialmente destabilizzanti sui mercati finanziari. Un precedente di questo tipo potrebbe infatti spingere altri paesi – in particolare quelli con rapporti più tesi con l’Occidente – a ritirare o ridurre la presenza delle proprie riserve nelle infrastrutture finanziarie europee, innalzando gli spread e aumentando i costi di finanziamento per gli stati membri.
Accanto ai rischi di mercato, anche gli aspetti giuridici sono diventati rapidamente centrali nel dibattito. Il Belgio, che ospita Euroclear e teme ripercussioni legali dirette, ha chiesto garanzie collettive e vincolanti da parte degli altri stati membri prima di dare il via libera. La Russia, dal canto suo, ha più volte minacciato contenziosi internazionali e ritorsioni se le sue riserve dovessero essere utilizzate in qualsiasi forma per finanziare l’Ucraina, sostenendo che un tale passo violerebbe il diritto internazionale e gli accordi che regolano l’inviolabilità delle riserve sovrane.
In questo quadro già complesso, la presa di posizione della Bce segna un punto di svolta. Senza la disponibilità della banca centrale a coprire il rischio del prestito, la possibilità di raccogliere 140 miliardi sui mercati diventa molto più incerta, se non impraticabile. Il rifiuto dell’istituzione guidata da Christine Lagarde mette quindi sotto pressione la Commissione e apre la ricerca di alternative, che potrebbero includere nuove forme di debito comune europeo o contributi diretti dei governi nazionali. Entrambe le opzioni, però, richiederebbero un consenso politico difficile da costruire, soprattutto in un momento di crescente sensibilità nei singoli paesi verso i temi della spesa pubblica e dell’esposizione finanziaria.