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IN SPAGNA

Arresti e maggioranza a pezzi, lo stillicidio su Pedro Sánchez

Marcello Sacco

La Corte suprema ha stabilito che l’ex ministro socialista Ábalos, travolto dalle accuse di tangenti, appropriazione indebita e favori illeciti, debba andare in carcere. Intanto in Parlamento, la maggioranza non è riuscita ad approvare il Programma di stabilità per i voti contrari di Junts

Madrid. José Luis Ábalos deve andare preventivamente in carcere, lo ha stabilito la Corte suprema spagnola accogliendo la richiesta del pubblico ministero. E' la prima volta, in Spagna, che un deputato va in prigione ed è un altro colpo per il governo Sánchez. Segretario organizzativo del Partito socialista spagnolo (Psoe) dal 2017 al 2021 e ministro dello Sviluppo, poi dei Trasporti, dal 2018 al 2021, Ábalos nel Psoe era un pezzo da novanta. Poi il suo braccio destro, Koldo García, ha cominciato ad avere problemi con la giustizia e anche il suo capo si è visto trascinare sempre più in basso. Da allora i giornali parlano indistintamente di “caso Koldo” o di “caso Ábalos”. Si tratta di un intreccio complesso di accuse per tangenti, appropriazione indebita e favori illeciti che includono persino la comparsa di giovani amanti in appartamenti di lusso. Si potrebbe dire che la politica spagnola soffre della sindrome del “long Covid”, perché i sospetti ricadono sui contratti per la fornitura di mascherine ai tempi della pandemia.

 

Quando le cose per Ábalos si sono messe particolarmente male, il Psoe lo ha sospeso. Lui ha rifiutato le dimissioni da parlamentare. Ma Ábalos è qualcosa di più di un socialista caduto in disgrazia. Appartiene alla cosiddetta “banda della Peugueot”, il cerchio magico di Pedro Sánchez che nel 2016, a bordo di una Peugeot 407, attraversò tutta la Spagna per riconquistare la leadership del partito da cui si era dovuto dimettere. Su quella macchina con lui c’erano Ábalos e, al volante, Koldo, insieme a Santos Cerdán, che è uscito dal carcere il 19 novembre scorso. Come spesso avviene in questi casi, quando i vecchi amici e compagni si sentono scaricati, cominciano a volare gli stracci. Poche ore prima dell’udienza, Ábalos ha twittato accuse risentite. Ha ripescato una riunione del 2018 tra Sánchez, Santos Cerdán e Arnaldo Otegi in cui sarebbe stata elaborata la tattica per far cadere il governo del popolare Rajoy, riunione che Sánchez ha sempre negato (Otegi, leader di Bildu, ha un passato di militanza nel gruppo terroristico basco dell’Eta). Poi ha fatto pesanti allusioni sulla vicepremier Yolanda Díaz, che qualche giorno prima gli aveva dato del farabutto.

 

E come in tutte operazioni in cui le “mani sporche” della politica si “puliscono” con le inchieste giudiziarie, non mancano anche in questo caso le polemiche sull’operato dei pm. Per esempio, l’uso del carcere preventivo come mezzo per ottenere confessioni. I 54 milioni di euro aggiudicati nel 2020 da enti pubblici, la maggior parte dei quali dipendenti dal ministero di Ábalos, andarono a un’azienda dell’imprenditore Víctor de Aldama, che nel frattempo era finito in carcere per altri appalti sospetti relativi al commercio di idrocarburi attraverso una società portoghese. E fu così che Aldama parlò delle mascherine. Uscito dal carcere, continua ad accusare: ieri, proprio mentre la Corte suprema deliberava su Ábalos e Koldo, ribadiva le sue accuse anche contro Ángel Víctor Torres, che durante la pandemia era presidente della regione delle Canarie e attualmente è ministro di Sánchez. Ha la delega alla coesione territoriale, ma se c’è una cosa che sembra mancare in Spagna è proprio la coesione, sia in politica che sul territorio.

 

Sempre ieri, nel Congresso dei deputati, la maggioranza veniva battuta sull’approvazione del Programma di stabilità, fondamentale per procedere alla presentazione di una legge di Bilancio (che il governo Sánchez non approva da due anni). Gli ex alleati catalanisti di Junts hanno mantenuto la minaccia/promessa di votare contro e si sono allineati ai Popolari e a Vox. La ministra delle Finanze, María Jesús Montero, ha tuonato in Aula contro quelli che preferiscono danneggiare la capacità finanziaria delle comunità autonome pur di racimolare una vittoria sul governo, ma non c’è stato niente da fare. Era successo anche l’anno scorso, quando Junts chiedeva un più alto tetto di spesa per le regioni autonome. Siamo al “giorno della marmotta”, ha commentato Juan Bravo, vicesegretario generale per l’Economia del Partito Popolare.

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