un piano di pace truffaldino

Tutte le tracce della truffa di Kirill Dmitriev

Micol Flammini

Lavorava a un piano per far finire la guerra, da sottoporre agli americani quando Trump è arrivato alla Casa Bianca. Le telefonate (con Whatsapp limitato in Russia), le frodi a Kyiv, i dettagli trumpiani per far accettare l'accordo a Washington

Il capo del Fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev, ha lasciato la sua città d’origine, Kyiv, all’età di quattordici anni, seguendo il consiglio di una coppia di turisti americani che gli aveva spiegato come accedere ai programmi di scambio. Andò a studiare negli Stati Uniti. Finì le superiori, si laureò a Harvard, lavorò per Goldman Sachs e McKinsey e poi fece ritorno in Ucraina per intestarsi uno dei più grandi fallimenti edilizi che hanno interessato la capitale. L’Unione sovietica era venuta giù e Dmitriev iniziò a fare avanti e indietro fra Mosca e Kyiv. Il suo progetto immobiliare per la capitale ucraina prevedeva la costruzione del Parco olimpico, una zona esclusiva in cui realizzare case. La costruzione sarebbe stata affidata alla Traverz-Bud, sussidiaria di Evropa, di cui, secondo alcune testate ucraine la quota di maggioranza era proprio di Dmitriev. La storia di questo quartiere inizia proprio negli anni Duemila, quando Dmitriev, fresco di lavoro nel mercato americano, anziché continuare a esercitare nel paese in cui era voluto fuggire da ragazzino, decide di tornare a casa. Finisce invece nel 2011, con una frode e un procedimento penale, parti di società cedute a uomini di Viktor Yanukovich, che poi sarebbe diventato presidente e infine sarebbe fuggito in Russia dopo le proteste di Euromaidan. Quando ormai il progetto del Parco olimpico era fallito, l’economista era già stabilmente in Russia, alla guida del Fondo sovrano russo per gli investimenti diretti. Non è soltanto questione di piani di pace, relazioni strette con gli americani, il rapporto fra gli ucraini e Dmitriev è lungo e tormentato da diverso tempo: dove si presenta Kirill, per Kyiv è un danno. 


La sua vicinanza al Cremlino è una questione di amicizie e familiarità: sua moglie è amica della figlia di Putin e l’economista ha avuto un accesso diretto alle stanze del Cremlino. E’ molto propositivo, al presidente piace l’approccio americano al servizio della Russia, quasi ci vedesse un modo per potersi burlare doppiamente degli Stati Uniti: vi stiamo fregando con i vostri stessi mezzi e non ve ne accorgete. 


La truffa, come dimostra la trascrizione di una telefonata pubblicata da Bloomberg, in cui Dmitriev parla con il consigliere di Putin per la Sicurezza nazionale, Yuri Ushakov, pare sia andata oltre le stesse aspettative di Mosca. Dmitriev, nella conversazione, comunica a Ushakov di essere pronto a consegnare agli americani un documento che rappresenta esclusivamente la posizione russa, ma che gli americani potranno presentare come se fosse loro. Sta parlando di quello che sarebbe poi diventato il piano in ventotto punti per far finire la guerra in Ucraina. “Non credo prenderanno esattamente la nostra versione, ma almeno sarà il più possibile vicino”, dice l’economista. Ushakov ribatte che potrebbe essere un rischio: “Potrebbero non accettare e dire che era stato concordato con noi”. Dmitriev invece conosce bene gli americani e insiste. 


Non appena Trump era tornato alla Casa Bianca, l’economista si era messo al lavoro su una bozza di accordo da presentare a Washington. L’aveva resa più trumpiana possibile, piena di allusioni a possibilità di investimento. Il sito investigativo The Insider, qualche mese fa, era entrato in possesso di una bozza di accordo che i russi avevano preparato per gli americani. Dopo la pubblicazione del piano in ventotto punti, i giornalisti investigativi Christo Grozev e Michael Weiss hanno ricostruito la genesi dell’accordo sul quale aveva lavorato Dmitriev in persona. Un punto presente nel piano fa capire come l’economista si sia intrufolato nelle dinamiche americane e abbia capito come rendere la guerra un enorme investimento per Trump pur facendolo rientrare anche negli interessi della Russia: “100 miliardi di asset russi congelati saranno investiti negli sforzi guidati dagli Stati Uniti per ricostruire e investire in Ucraina. Gli Stati Uniti riceveranno il 50 per cento dei profitti”. The Insider spiega il meccanismo dietro a questo punto: “Gli oligarchi avranno comunque la possibilità di ottenere profitti come investitori in Ucraina… i beni non andrebbero persi, ma  reindirizzati verso future opportunità per arricchire i miliardari amici di Putin”.

 

La struttura del potere e della diplomazia in Russia è molto solida. Il capo del Cremlino si fida degli stessi uomini da decenni. Sono persone cresciute e formate in epoca sovietica che portano avanti una diplomazia armata da usare per circondare i nemici. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ne è un esempio. Anche Ushakov è un dinosauro delle relazioni internazionali, è stato ambasciatore negli Stati Uniti. Dmitriev viene da un altro mondo ed è il perfetto doppio di Steve Witkoff. Anche una conversazione fra Witkoff e Ushakov è finita su Bloomberg. Il consigliere di Putin sembrava poco sconvolto dalla fuga di notizie, ha detto che deve essere stato a causa di WhatsApp. Nell’enormità della notizia c’è anche questo dettaglio: i funzionari russi usano per comunicare un’applicazione ufficialmente limitata dal Cremlino. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)