foto del drone caduto ieri in Romania di Vaslui TV

L'incursione di Mosca

Prudenza e deterrenza. La Romania e il fronte dei droni russi

Giulia Pompili

Due incursioni in poche ore e un drone spinto per la prima volta oltre cento chilometri nell’entroterra romeno. La guerra ibrida russa tocca un nuovo livello: la Nato sull’orlo dell’ingaggio decide di non abbattere i velivoli. Ecco perché 

Ieri durante l’ennesimo massiccio attacco missilistico accompagnato da uno sciame di droni della Russia contro l’Ucraina – soltanto a Kyiv ci sono stati sette morti e venti feriti, fra cui un bambino – alcuni velivoli senza pilota russi hanno di nuovo violato lo spazio aereo sia della Romania sia della Moldavia. I radar delle Forze armate di Bucarest hanno tracciato un primo drone in arrivo dall’area di confine ucraina di Vylkove, sul delta del Danubio, poco prima delle 6 e 30 del mattino. Due Eurofighter tedeschi sono decollati dalla base di Mihail Kogălniceanu per intercettare il velivolo, che poco dopo sarebbe rientrato in Ucraina. Poco dopo, due F-16 rumeni sono stati fatti alzare in volo a seguito di una seconda incursione fosse rilevata sopra il distretto di Galați. I caccia hanno seguito il drone andare nella direzione dell’area di Vrancea, che non confina con l’Ucraina ed è situata a più di cento chilometri nell’entroterra: il punto più interno in cui si sia mai spinto un velivolo russo in Romania. Ai cittadini delle aree interessate è arrivato l’allarme sul cellulare chiedendo di rimanere al coperto per il pericolo che “oggetti cadano dallo spazio aereo”. “Dall’inizio della guerra della Federazione russa contro l’Ucraina a oggi”, ha detto il portavoce del ministero della Difesa di Bucarest, Corneliu Pave, “abbiamo avuto 13 incursioni di droni nello spazio aereo rumeno. Allo stesso tempo, circa 40 frammenti di droni hanno raggiunto il territorio rumeno”.

 

Per la prima volta, inoltre, ieri i caccia dell’Alleanza atlantica hanno “quasi” ingaggiato il drone: l’hanno seguito a lungo, e l’impossibilità di capire la traiettoria né se fosse armato ha portato all’attivazione di una serie di protocolli che prevedono anche l’abbattimento. Non è successo. Dal ministero della Difesa romeno fanno sapere al Foglio che “la distruzione dell’aeromobile è l’ultima soluzione possibile, dopo aver preso in considerazione tutte le circostanze specifiche dell’evento e tenendo conto della priorità di proteggere la vita umana”. Sempre di più, nella guerra ibrida dei droni, il discrimine sul procedere all’abbattimento o meno riguarda i detriti provocati dall’esplosione, e quindi la protezione della popolazione. Una cautela che non hanno gli operatori di Putin, che spesso abbandonano i droni o li lasciano cadere se privi di carburante. Il secondo drone che ieri è entrato nello spazio aereo romeno infatti si è schiantato da solo al suolo nel cortile di casa di un abitante di Puiesti, che si trovava nella sua abitazione e ha sentito un boato, trovando poi l’apparecchio distrutto. L’area è stata isolata fino all’arrivo delle squadre specializzate, ma nel corso della giornata diversi media rilanciavano la preoccupazione degli abitanti delle aree di confine e la paura di nuove incursioni, se la difesa dai droni rischia di essere così complicata. 

 


Poche ore dopoa, anche la Moldavia ha denunciato il passaggio “non autorizzato” di sei droni sul proprio territorio. Uno di questi, contrassegnato dalla lettera Z usata dalle forze russe, è precipitato su un edificio della guardia di frontiera senza esplodere. Le autorità moldave sono state costrette ad evacuare l’area in attesa degli artificieri.
La guerra ibrida di Putin va oltre l’Ucraina ed è fatta di sciami di droni senza controllo o volontariamente lanciati oltre i confini della guerra per testare le difese o rallentare il monitoraggio di alcuni attacchi da parte dei paesi Nato – nel caso della Moldavia, che non è membro Nato, si tratta anche di una strategia di logoramento della sicurezza percepita dei cittadini. Secondo il quotidiano romeno Adevarul, i droni rinvenuti in Romania presentano lo stesso codice, “ЫЫ47604”, dipinto sulla fusoliera. Secondo gli analisti che hanno esaminato le immagini e i rottami, si tratta di modelli molto leggeri, di circa dieci chilogrammi di peso, privi di carica esplosiva e costruiti con materiali economici, simili al modello Gerbera. La loro funzione sarebbe quella delle esche che saturano i radar e disperdono le risorse di difesa, aumentando il numero apparente di bersagli durante un’offensiva aerea.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.