Il Giappone sotto attacco cinese preferisce fare senza Trump

Giulia Pompili

Pechino ridicolizza la premier giapponese Takaichi e incassa la “comprensione” del presidente americano

Da giorni la propaganda filocinese cerca di rappresentare la prima ministra giapponese Sanae Takaichi come una leader frivola, incapace: Phoenix tv, emittente di stato di base a Shenzhen, tutti i giorni pubblica video di Takaichi che sorride troppo, fa le faccette, si sistema i vestiti e abbraccia  Meloni. La costruzione di un’immagine di questo tipo è stata utile soprattutto ieri, quando il presidente americano Donald Trump ha parlato al telefono in rapida successione sia con il leader cinese Xi Jinping sia con Takaichi.  

 


La telefonata fra il presidente americano e Xi è arrivata a sorpresa, l’altro ieri, e all’inizio sembrava su richiesta della parte cinese – poi la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha smentito, sarebbe stata la prima volta nella storia moderna. Secondo quanto scritto da Trump sui suoi social media, i due leader avrebbero parlato di “molti argomenti, tra cui Ucraina/Russia, fentanyl, soia e altri prodotti agricoli”. Per la parte americana, dunque, il primo motivo della conversazione riguardava presumibilmente le proposte di pace che l’America sta offrendo a Mosca e Kyiv, alle quali Pechino è interessata per via dello stretto legame con la Russia di Putin. Poi sarebbero stati toccati i rapporti commerciali bilaterali, discussi anche durante l’incontro di persona tra i due avvenuto a ottobre in Corea del sud. Anche la Casa Bianca ha riportato questi argomenti nel briefing quotidiano.  Per il resoconto pubblicato dai media cinesi, però, la questione Taiwan è stata al centro del colloquio: Xi avrebbe spiegato a Trump l’importanza del “ritorno alla Cina di Taiwan” come parte “dell’ordine internazionale post bellico” – sebbene la Repubblica di Cina sia stata costretta a spostarsi sull’isola dopo la sconfitta durante la guerra civile cinese finita nel 1949, e il Partito comunista cinese non ha mai governato in quell’area. Sempre secondo i media cinesi, Trump avrebbe “espresso la sua comprensione” dell’importanza della questione di Taiwan. 
Poche ore dopo questo colloquio, e dopo aver dichiarato che “il nostro rapporto con la Cina è estremamente forte!”, Trump ha parlato al telefono con Takaichi. Da settimane ormai la Repubblica popolare cinese sta alzando i toni contro il Giappone e il suo governo, che si è insediato soltanto il 21 ottobre scorso. La “colpa” di Takaichi è quella di aver detto, durante un incontro in commissione alla Dieta, che una eventuale invasione di Taiwan da parte della Cina potrebbe essere considerata un pericolo per la sicurezza nazionale giapponese – il territorio nipponico dista un centinaio di chilometri da quello taiwanese – e quindi attivare le Forze di autodifesa, cioè un coinvolgimento attivo nella difesa dell’indipendenza di Taipei.

 

Una posizione piuttosto ovvia nei paesi dell’Asia orientale, la cui verbalizzazione esplicita, però, è stata sempre evitata per evitare problemi diretti con la Cina. La rappresaglia di Pechino a quelle frasi di Takaichi stanno prendendo da settimane una dimensione definita sproporzionata da diversi osservatori – arrivando perfino a usare la clausola dello stato nemico della Carta delle Nazioni Unite per giustificare eventuali azioni contro il Giappone – segnale che la leadership del Partito comunista cinese voglia colpire la premier giapponese per “educare” anche altri governi, e addirittura, dopo la telefonata con Trump, incassando la “comprensione” del presidente americano. Trump finora non ha detto una parola sulla crisi tra il Giappone e la Cina, e a Tokyo qualcuno aveva iniziato a trovare la questione preoccupante. Dopo la sua telefonata con il presidente americano, Takaichi ha fatto sapere che “Trump ha detto che siamo ottimi amici e che posso chiamarlo in qualsiasi momento”, ma c’è qualcosa di ancora molto poco chiaro nelle relazioni bilaterali fra Stati Uniti e Repubblica popolare che agita sia Tokyo sia Taipei.

 

Una fonte del governo giapponese ha detto ieri al Foglio che Takaichi difficilmente vorrà coinvolgere direttamente Washington nella crisi – che vorrebbe risolvere con il dialogo, con una specie di autosvelamento dell’aggressività cinese – e lasciando che il caotico Trump non se ne occupi, rischiano di complicare la situazione. Rush Doshi, che con Biden era responsabile di Cina e Taiwan al National Security Council, ha scritto qualche giorno fa sul New York Times che Trump ha dato a Xi il G2 che sognava, e che “le conseguenze della gestione disastrosa della Cina da parte di Trump risuoneranno ben oltre il commercio. Gli alleati dell’America ora potrebbero avere motivo di dubitare della capacità americana di sostenerli, visto che Washington non riesce nemmeno a difendere se stessa. Pechino potrebbe sentirsi incoraggiata a mettere alla prova la determinazione statunitense su Taiwan e su altre questioni. La Cina, del resto, ha altri punti di pressione da trasformare in armi”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.