Quanto ci possiamo fidare?
Rubio disinnesca Vance e i russi. Ma il suo limite è la stima di Trump
Il segretario di stato fa ordine sul "piano" propinato agli ucraini, ma la sua battaglia è un’altra e riguarda il cuore di Trump
Questo è un documento “che vive, che respira” e che ogni giorno, “con contributi diversi, cambia”. Con queste parole il segretario di stato americano, Marco Rubio, ha cercato di rilanciare il dialogo con gli ucraini e con gli europei, distogliendo l’attenzione dai 28 punti del cosiddetto “piano di pace” piombato la settimana scorsa sulla diplomazia internazionale, e con una botta più forte sulla testa del capo americano di questa diplomazia, cioè la sua: Rubio non sapeva nulla del documento concepito da Steve Witkoff, J. D. Vance e Kirill Dimitriev. Non è la prima volta che la catena di comando americana s’inceppa: durante l’estate il Pentagono aveva interrotto la fornitura di armi all’Ucraina (bloccando anche quelle che erano già in Polonia pronte per essere spedite) in seguito a un ordine dato da una parte del Pentagono – quella guidata da Elbridge Colby, il sottosegretario che vuole occuparsi soltanto della minaccia cinese, ma curiosamente la ignora quando si tratta dell’alleanza tra Pechino e Mosca – che non si era consultata con la Casa Bianca né l’aveva informata a cose fatte.
Allora come oggi Donald Trump non ha inizialmente nascosto il fatto di non essere al corrente di tali manovre, ma sempre con il tono di chi in ogni caso si fida dei suoi sottoposti. Poi invece si è buttato nella zuffa, e allora era andata decisamente meglio: dopo pochi giorni, il flusso era stato ripristinato. Ora la confusione sembra maggiore, Trump ha prima detto che il piano era un punto di partenza, poi che il piano era quello giusto, poi con quel cinismo osceno che lo contraddistingue quando ci sono di mezzo gli ucraini ha detto che Volodoymyr Zelensky poteva accettare il piano (inaccettabile) o continuare a combattere per conto suo, e infine ha recriminato, ancora una volta, sulla mancanza di gratitudine del presidente ucraino.
Rubio, che è considerato il più esperto del team di sicurezza e di politica estera dell’Amministrazione Trump (il livello è molto basso) e che ha una visione del mondo in cui l’America conserva e rilancia la sua leadership liberale contro le dittature globali, ha cercato di mettere ordine in questo caso, ma non potendo prescindere dal suo pensiero altalenante, perché indisporre Trump è vietato se vuoi continuare ad avere una carriera politica, è salito pure lui sull’altalena. Il suo obiettivo, come è noto, non è certo il presidente, che va assecondato il più possibile. Il suo obiettivo è J. D. Vance, il vicepresidente tuttofare malato di protagonismo che non solo tenta di imporre una linea antiucraina (che è minoritaria anche tra gli elettori repubblicani), ma anche e soprattutto di giocare a fare l’erede di Trump. La storia di questa nuova America è tutta qui: conquistare il cuore di un presidente volubile, ed essere scelti come successore. Ideali, valori, tenuta dell’ordine democratico mondiale, alleanze ed equilibri non contano nulla, conta non ritrovarsi mai di traverso a Trump e farsi notare per fedeltà ed efficienza.
Per questo Rubio ha prima detto ad alcuni senatori che il piano sbucato dal nulla era stato scritto dai russi perché così ha esposto il traffico antiucraino di Vance, ma poi ha ammorbidito subito i toni ed è andato a Ginevra a incontrare gli europei e gli ucraini nel ruolo di mediatore ottimista, in grado di aggiustare la pericolosa frattura tra Kyiv e Washington e tra Bruxelles e Washington, che è la frattura su cui lavora, bomba dopo bomba, tortura dopo tortura, bugia dopo bugia, Vladimir Putin. E’ chiaro che se il piano redatto con i russi viene rivisto con emendamenti che considerano le linee rosse – linee minime di giustizia – degli ucraini diventa irricevibile per la Russia, e quindi fallimentare, ma è altrettanto chiaro che la fine della guerra è diventato un beauty contest dentro l’Amministrazione cui partecipano soltanto mostri: Vance con i suoi, cioè l’inviato Witkoff e in questo caso Dan Driscoll, il più alto in grado del Pentagono nella delegazione che giovedì scorso a Kyiv ha cercato di imporre a Zelensky il piano (Driscoll punta al posto del segretario alla Difesa Pete Hegseth); e Rubio, che pur essendo disposto a tutto per non perdere la stima di Trump, riconosce la minaccia putiniana e l’ha già disinnescata in passato. Ora tocca quindi fidarsi del segretario di stato e delle sue dichiarazioni rassicuranti: è il male minore, in un’America che offre soltanto grande dolore.