John Ternus, il più quotato fra i possibili successori di Tim Cook a Apple (foto ANSA)
nuovi protagonisti
Nei colossi americani si prepara a prendere il potere la generazione AI
Da Apple fino a Disney, fino alla catena di grandi magazzini Walmart. Cambi di rotta ai vertici dei più importanti gruppi dell'industria statunitense, dove i nuovi ceo dell'era dell'intelligenza artificiale sono pronti a prendere il comando
E’ l’ora del grande cambio della guardia. In America esce la generazione degli amministratori delegati che hanno guidato la rivoluzione digitale degli ultimi vent’anni, ed entrano i nuovi protagonisti che dovranno gestire un altro cambiamento epocale: quello dell’intelligenza artificiale. Il 2026 si presenta come l’anno della svolta alla guida di alcuni giganti tecnologici, finanziari e dell’intrattenimento e in ballo c’è il futuro di aziende globali come Apple, Disney e Procter & Gamble e di colossi americani come Walmart, Target, T-Mobile e la Berkshire Hathaway di Warren Buffett.
A far accendere i riflettori sull’ondata di nomine in arrivo è stata un’indiscrezione del Financial Times, che ha dato per imminente l’addio di Tim Cook dopo quattordici anni alla guida di Apple. L’uomo che ha preso le redini dell’azienda subito dopo la morte di Steve Jobs potrebbe lasciare già all’inizio del 2026, dopo aver portato Apple dai 350 miliardi di dollari di capitalizzazione che aveva nel 2011 agli oltre quattromila miliardi attuali. Cook, che ha compiuto 65 anni il primo novembre, come ceo è stato il protagonista del boom mondiale degli iPhone e dagli Apple Watch e il creatore di una miriade di prodotti innovativi lanciati a Cupertino, ma non sembra ancora aver trovato la ricetta giusta per un futuro che sarà dominato dall’AI. Anche per questo, secondo il Financial Times, il board della società californiana avrebbe accelerato la procedura per la selezione del successore di Cook, un percorso delicato per le ripercussioni che può avere sull’andamento del titolo a Wall Street e anche sull’economia globale.
Aziende come Apple o Nvidia hanno valori ormai tali da essere paragonate a nazioni e scegliere un nuovo ceo è estremamente complicato, soprattutto in un momento in cui i mercati sono sensibili a ogni piccolo scossone, per il timore che esploda la “bolla tecnologica” di questi anni. Cambiare ceo è poi una sfida particolare in una società come Apple, che vive ancora il mito del proprio fondatore e nella quale ogni leader deve confrontarsi con l’ombra gigantesca di Steve Jobs. Cook ha impiegato molto tempo a trovare la propria voce e a creare una propria immagine. Chi gli succederà dovrà a sua volta costruire un personal branding e soprattutto trovare il modo di rispondere a un interrogativo un po’ fantascientifico: “Cosa avrebbe fatto Steve Jobs con l’AI?”. Perché questa sarà la base del modello di business di Apple nei prossimi decenni.
Se davvero sta per arrivare il momento del dopo-Cook, il nome più quotato tra i possibili successori è quello del cinquantenne John Ternus, un ingegnere che attualmente guida tutta la produzione dell’hardware di Apple. E’ l’uomo che costruisce gli iPhone, i Mac e gli Watch ed è in Apple dall’inizio degli anni Duemila, cioè dagli anni d’oro dell’iPod di Steve Jobs. Cook gli ha affidato sempre più responsabilità e ha fatto di Ternus una presenza costante sul palco degli eventi di lancio dei nuovi prodotti.
Apple però non sarà sola nel dover prendere decisioni difficili per la successione di amministratori delegati di grande peso e carisma. Anche alla Disney si parla di un cambio della guardia a inizio anno, con il ceo Bob Iger che sarebbe pronto per il secondo (e definitivo) addio. Iger è ormai diventato il leader più importante nella storia del colosso dell’intrattenimento dopo il fondatore Walt Disney. Sotto la sua guida nell’ultimo quarto di secolo il gruppo si è allargato enormemente, con le acquisizioni tra le altre di Marvel, Pixar, LucasFilm e 21st Century Fox, la crescita dei parchi a tema, il lancio della piattaforma Disney+. Iger aveva già lasciato l’incarico di ceo nel 2021 per andare in pensione, ma dopo la pessima gestione del suo successore Bob Chapek lo avevano richiamato alla guida del colosso. Adesso che la situazione sembra stabilizzata, a 74 anni Iger è pronto al secondo addio e anche in questo caso si sente il bisogno di un volto nuovo che sappia fare i conti con opportunità e sfide dell’AI. Nomi di successori per ora ne circolano pochi.
Le esigenze di avviare un nuovo percorso le avverte anche Walmart, la più vasta catena di grandi magazzini al mondo, con due milioni di dipendenti sparsi in diecimila punti vendita di diciannove paesi, ma soprattutto in ogni angolo degli Stati Uniti. Anche qui si parla molto dell’intelligenza artificiale, di come cambierà il lavoro e della rivoluzione in arrivo. Walmart però è un gruppo prudente e tradizionale e non ama fare rivoluzioni. Per questo quando ha annunciato che Doug McMillon, ceo dal 2013, lascerà l’incarico il primo febbraio prossimo, la società ha anche indicato subito il successore: sarà il cinquantenne John Furner, un manager praticamente cresciuto tra gli scaffali di Walmart, dove è entrato come commesso nel 1993.
Al terzetto rappresentato da Tim, Bob e Doug, tre volti notissimi a Wall Street, si aggiunge un quarto personaggio che gli analisti riconoscono subito anche con il solo nome: Warren. A fine anno si ritira “l’oracolo di Omaha” Warren Buffett, lasciando il posto di ceo a un suo uomo di fiducia, Greg Abel, e sarà un ulteriore segno della fine di un’epoca e l’inizio di qualcosa di nuovo.
Escono di scena i titani alla Rupert Murdoch, che ha finalmente mollato le redini di News Corp al figlio Lachlan, e arriva una squadra di ceo che dovrà fare i conti sia con le nuove frontiere tecnologiche, sia con la difficoltà (e le opportunità) di lavorare nell’America First protezionista di Donald Trump. Accade un po’ in tutti i settori. Alla guida del colosso dei beni di consumo Procter & Gamble per esempio dal primo gennaio non ci sarà più il ceo John Moeller, sostituito dall’attuale chief operating officer Shailesh Jejurikar. Un altro indiano che arriva ai vertici della Corporate America dopo i ceo di Google, Microsoft, Ibm, Adobe e il nuovo amministratore delegato di T-Mobile. Perché i nuovi ceo dell’era dell’AI, nonostante l’America First, sono figli della globalizzazione.