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Fatwa accademica
L'Iran mette una taglia sui docenti israeliani. Centomila dollari a chi uccide i nomi grossi
Ci sarebbe la Repubblica islamica dietro il sito apparso sul web che sta diffondendo liste di proscrizione contro decine di accademici israeliani, pubblicando i loro dati personali e ricompense per atti di intimidazione e omicidi
Finora Teheran aveva messo una taglia su scrittori come Salman Rushdie, attiviste contro il velo come Masih Alinejad, ex funzionari americani come Mike Pompeo e John Bolton, rappresentanti delle comunità ebraiche come lo svedese Aron Verständig. Ci sarebbe la Repubblica islamica non soltanto dietro molti account che in due anni di guerra postavano notizie su Gaza e ripresi dai media occidentali. Anche il sito apparso sul web che sta diffondendo liste di proscrizione contro decine di accademici israeliani sarebbe opera di Teheran.
Pubblicano i loro dati personali e offrono ricompense per atti di intimidazione e omicidi. Le autorità israeliane definiscono “senza precedenti” per il livello di dettaglio, la portata delle minacce e l’esplicita incitazione alla violenza contro accademici israeliani. La pagina, sotto il nome di “The punishment for justice movement”, ha un tariffario: mille dollari per affiggere cartelli di protesta davanti alle loro abitazioni, ventimila per l’incendio di case o veicoli, cinquantamila per l’omicidio di un professore. La cifra raddoppia per quelli definiti “bersagli speciali”, ovvero figure di primissimo piano della comunità scientifica israeliana: Daniel Chamovitz, presidente della Ben Gurion University; Daniel Zajfman, ex presidente del Weizmann Institute e attuale presidente della Israel science foundation; Eliezer Rabinovici, fisico della Hebrew University ed ex rappresentante israeliano al Cern; Erez Etzion, direttore dell’Istituto di fisica delle particelle di Tel Aviv e Shikma Bressler, ricercatrice del Weizmann e voce centrale nel movimento di protesta contro la riforma giudiziaria. Molte di queste università erano state prese di mira lo scorso giugno nella “guerra dei dodici giorni” fra Israele e Iran, quando Teheran aveva lanciato i missili sui laboratori e le aule accademiche. Ora fotografie, indirizzi di casa, numeri di telefono, email, profili social e anche copie di passaporti e visti statunitensi escono non in un sito amatoriale, ma frutto di una operazione di intelligence meticolosa.
Le liste includono anche docenti e ricercatori che vivono fuori da Israele, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, ampliando il potenziale raggio d’azione della minaccia. Fra i nomi con una taglia c’è il professore di Scienza dei computer di Oxford, Michael Bronstein. Alla University of London, Michael Ben-Gad, professore di Economia, è stato qualche settimana fa contestato e aggredito in aula per aver prestato servizio nell’esercito israeliano negli anni Ottanta. Un manifestante ha minacciato di “decapitarlo”. Il prossimo potrebbe farlo per riscuotere una taglia. Da Sciences Po in Francia alle università in Germania e Inghilterra, nell’ultimo anno numerosi professori ebrei o israeliani sono stati aggrediti da gruppi filopalestinesi che si è poi scoperto erano eterodiretti da Teheran e Hamas. Anche l’assassino di Salwan Momika, il rifugiato iracheno che aveva bruciato il Corano in Svezia e ucciso a Stoccolma durante una diretta social, è scappato a Teheran. Bashar Zakkour, già coinvolto in altre attività criminali, è fuggito in Iran dopo aver assassinato Momika. Le Guardie rivoluzionarie dell’Iran avevano inviato quindicimila messaggi in svedese per chiedere la testa di Momika e il loro comandante in capo, Hossein Salami, aveva minacciato Momika: “Prima o poi la mano dei mujahed ti raggiungerà”. Ora rischiamo che raggiungano anche gli accademici israeliani in nome del “boicottaggio”.