Ansa
Editoriali
Il caotico G20 sudafricano, tra il boicottaggio americano e l'ironia di Israele
Il presidente sudafricano Ramaphosa lamenta l'assenza degli Stati Uniti al vertice e la Casa Bianca risponde confermando la semplice presenza cerimoniale dell’ambasciatore ad interim. E nel vuoto lasciato da Washington, cresce inevitabilmente lo spazio diplomatico per altri attori, a partire dalla Cina
Il vertice G20 di Johannesburg si è aperto ieri con la confusione diplomatica a cui siamo ormai abituati, ma che dice molto della crisi permanente di questo formato. Il presidente americano Donald Trump già all’inizio di novembre aveva annunciato la sua assenza, giustificata da accuse infondate sul trattamento dei bianchi in Sudafrica. Se per la prima volta il vertice viene ospitato da una nazione africana, è la prima volta pure che l’America salta l’appuntamento annuale. Ieri però, Pretoria ha fatto trapelare che Washington forse aveva “cambiato idea”, chiedendo di partecipare “in qualche forma”. La Casa Bianca ha reagito piccata, ha smentito il presidente Cyril Ramaphosa (“parla a vanvera”, ha detto la portavoce Leavitt), e ha confermato la semplice presenza cerimoniale dell’ambasciatore ad interim.
Il governo sudafricano, sostenuto e difeso dai soliti avversari della linea americana, tra cui Jeffrey Sachs e la propaganda di diversi regimi, ha replicato di non voler consegnare la presidenza G20 a un diplomatico facente funzione. Il caso sintetizza lo stato di un forum già decisamente indebolito. A Johannesburg sono arrivati la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – con focus sul Piano Mattei – e il primo ministro britannico Keir Starmer, nel tentativo di salvare ormai almeno l’aspetto più diplomatico del vertice, senza aspettarsi soluzioni collettive condivise: l’Amministrazione americana ha saltato molte riunioni preparatorie, spesso rifiutando di negoziare e bloccando documenti congiunti. E nel vuoto lasciato da Washington, cresce inevitabilmente lo spazio diplomatico per altri attori, a partire dalla Cina, sempre più attiva nel presentarsi come voce del Sud globale e interlocutore disponibile, anche quando non lo è davvero, come ha fatto alla Cop30 di Belém. A riassumere ironicamente il caos è stata l’ambasciata israeliana in Sudafrica, che ieri ha lanciato una frecciatina al presidente Ramaphosa, definendo la sua osservazione secondo cui “la politica dei boicottaggi non funziona” un “raro momento di saggezza e chiarezza diplomatica”.