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la papessa di berkeley

Tra le teorie gender e la repressione degli ayatollah

Giulio Meotti

Secondo la filosofa statunitense Judith Butler, “Hamas e Hezbollah sono progressisti”. Peccato che la sua traduttrice in Iran, Shirin Karimi, è stata arrestata dal regime iraniano in una operazione che ha coinvolto accademici, studiosi e scrittori che rappresentano voci indipendenti e critiche

Roma. Ovunque le donne soffrono sotto il patriarcato, a Berkeley come a Isfahan. E le donne iraniane dovrebbero liberarsi non solo della “cosiddetta” Repubblica islamica, ma anche del dominio occidentale che nega i bagni non-binari, il pronome identificativo o che dice che una donna è una donna. “Le lotte delle nostre sorelle in Iran affondano le loro radici sia nei rapporti di potere all’interno delle cosiddette società ‘islamiche’, sia nella crisi dei rapporti di riproduzione sociale all’interno del capitalismo” recita un appello sul Monde firmato da Judith Butler. 

Pochi giorni prima del pogrom del 7 ottobre di Hamas, che Butler definirà “resistenza armata”, la famosa filosofa americana del gender è tornata a firmare un altro appello, stavolta assieme al premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux, in cui ha spiegato che opporsi al velo equivale a “islamofobia”. Così le autoproclamate voci del bene, della rettitudine e della giustizia woke, hanno tracciato un parallelo tra l’Iran e la Francia per spiegare che entrambi gli stati reprimono le rivoluzioni anticapitaliste e femministe allo stesso modo. “Perché ciò con cui abbiamo a che fare qui, come là, sono, in forme diverse, apparati statali nelle mani di frange radicalizzate della borghesia, la cui retorica religiosa o laica fallisce sempre più nel nascondere un progetto concorrente di appropriazione della ricchezza e sfruttamento di tutti gli esseri viventi”. Non c’è differenza tra una dittatura islamica e una repubblica laica.

Massima figura di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista, docente di Filosofia politica all’università di Berkeley, autrice di quel “Gender Trouble” testo tuttora di culto nei campus americani, Butler è tradotta anche in Iran. E gli ayatollah questa settimana hanno arrestato Shirin Karimi, scrittrice e traduttrice in farsi delle opere di Butler. Negli ultimi giorni le forze di sicurezza iraniane hanno arrestato accademici, studiosi e scrittori in una nuova ondata di repressione volta a mettere a tacere le voci indipendenti e critiche del regime.

Chi lo dice alla traduttrice iraniana che la sua paladina, durante un seminario a Berkeley, ha detto che “è estremamente importante comprendere Hamas e Hezbollah come movimenti sociali progressisti e di sinistra, parte di una sinistra globale”? Travolta dalle polemiche, Butler ha poi chiarito la sua posizione. Ha negato di sostenere i metodi delle due organizzazioni: “Sono sempre stata a favore dell’azione politica non violenta”. Ma sostiene l’inclusione di Hamas e Hezbollah nella sinistra: “Queste organizzazioni politiche si definiscono antimperialiste, e l’antimperialismo è una caratteristica della sinistra globale, quindi su questa base potrebbero essere descritte come parte della sinistra globale”.

A prima vista, ciò che dice Butler è completamente assurdo, come i taccuini persiani di Michel Foucault e i viaggi di Gianni Vattimo alle giornate della filosofia a Teheran. In Libano e a Gaza e a Teheran come accoglierebbero questa lesbica cittadina del Grande Satana che insiste nel riferirsi a se stessa al plurale? La risposta è tanto ovvia quanto raccapricciante e quindi inevitabilmente sorge un’altra domanda: come può Butler essere così miope da pensare che queste persone siano in qualche modo suoi alleati?

La sociologa Eva Illouz sul Monde ha ricordato che in “Is Critique Secular?: Blasphemy, Injury, and Free Speech” Butler ha messo in discussione anche i valori della separazione tra stato e religione e della libertà di espressione, entrambi condannati in quanto “norme occidentali”. La stessa libertà di espressione per Butler non è un diritto, non è altro che uno strumento di dominio degli occidentali. Salman Rushdie, che nella Berkeley di Butler non può parlare, ha perso un occhio per quei valori.

“Who’s afraid of gender?”, recita il titolo dell’ultimo libro di Butler. Sicuramente gli ayatollah ne hanno paura. Ma le donne iraniane dovrebbero averne un po’ anche delle tesi della papessa di Berkeley.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.