il ritratto

Il talento di Ezra Klein, giornalista-guru che modella la sinistra

Marco Bardazzi

Il kingmaker dei democratici ha assunto un ruolo che va oltre il giornalismo, diventando un protagonista della vita politica americana. In redazione alcuni si lamentano della sua prossimità con la politica, ma fino a quando il suo show resterà il più visto, ci sarà poco da fare

Milano. Nell’episodio più recente del suo seguitissimo video-podcast sul New York Times, Ezra Klein analizza la deriva anti Israele che a suo dire sta vivendo il mondo Maga, la paragona alle accuse di antisemitismo rivolte al neoeletto sindaco di New York Zohran Mamdani e a un certo punto, parlando con il politologo John Ganz, butta lì una frase rivelatrice: “Ho incontrato Zohran, ho votato per Zohran e non penso ci sia niente di antisemita in lui”. In altri tempi, che un editorialista del quotidiano più importante del mondo dichiarasse con questa libertà il proprio voto avrebbe fatto alzare qualche sopracciglio, in redazione e non solo. Ma i tempi sono cambiati e Klein con una sola frase ha svelato due cose che nel mondo della politica e del giornalismo americano in realtà non sono un segreto per nessuno. La prima è che dovendo scegliere tra il “vecchio” Partito democratico incarnato nelle elezioni di New York da Andrew Cuomo e la novità rappresentata da Mamdani, Klein ha preferito la scelta più rivoluzionaria, quella capace di cambiare lo status quo, pur essendo poco in sintonia con la posizione dei socialisti democratici del nuovo sindaco. La seconda è che Ezra Klein in questo momento, come ha sostenuto Axios in una lunga analisi, è il kingmaker dei democratici, la voce più influente e ascoltata nel mondo progressista e un manovratore dietro le quinte dei destini dei candidati democratici in vista delle elezioni di midterm del 2026 e delle presidenziali del 2028.

 

Ezra Klein è in qualche modo il Tucker Carlson della sinistra, un giornalista che ha assunto un ruolo e un peso che vanno ben oltre il giornalismo, per diventare non solo un commentatore, ma anche un protagonista della vita politica americana. Merito soprattutto della grande lucidità delle sue analisi, di una notevole capacità di decrittare i trend culturali e di una bella penna che ha saputo assumere nel tempo i ritmi giusti per i podcast e i video.

Klein è un californiano quarantunenne, sposato e padre di due bambini piccoli, che si è formato politicamente in quel laboratorio progressista che è stata la campagna elettorale di Howard Dean del 2004. Negli anni si è affermato prima come blogger, assieme alla generazione di Mark Moulitsas, Matt Yglesias e Ben Smith, per poi imporsi su scala nazionale cofondando Vox, una delle piattaforme di giornalismo digitale più innovative degli ultimi anni. Nel 2020 è passato da Vox al New York Times, come editorialista e autore di podcast, diventandone ben presto una delle firme più prestigiose.

Il nuovo ruolo di Klein nella politica americana è emerso pienamente lo scorso anno, durante la campagna elettorale, quando è stato decisivo nel convincere il Partito democratico a fare pressione su Joe Biden per costringerlo a ritirarsi dalla corsa. Da allora il suo status ha continuato a crescere, di pari passo con un’attenta campagna di personal branding che lo ha reso sempre più visibile e influente. Lo scorso marzo è uscito il suo ultimo libro, “Abundance”, scritto con Derek Thompson, che è rapidamente diventato una specie di guida per i democratici su come tornare a vincere, individuando una terza via tra la destra trumpiana e il radicalismo di sinistra del mondo di Bernie Sanders (e di Mamdani). Con la scusa di presentare il libro, Klein ha cominciato a girare l’America e a incontrare, spesso a porte chiuse, esponenti di punta del Partito democratico, per consigliarli sui passi da compiere in futuro. Tra quelli che risultano essersi affidati alle sue cure ci sono Kamala Harris e i governatori Gavin Newsom (California), Josh Shapiro (Pennsylvania) e Wes Moore (Maryland), tutti potenziali candidati presidenziali nel 2028.

Allo stesso tempo Klein si è reso più visibile con il suo “Ezra Klein Show”, che da podcast puro è diventato un programma video, si è fatto crescere la barba, ha messo su muscoli in palestra e un’aria pensosa da intellettuale, ha rivendicato il suo essere vegano e ogni tanto si è lanciato anche in prese di posizioni controverse per il mondo liberal e progressista. Come quando, dopo l’assassinio di Charlie Kirk, ha lodato il giovane attivista conservatore e il suo metodo di ingaggio e dialogo con il mondo universitario. Molti a sinistra ne sono rimasti scandalizzati, ma per Klein è stata una dimostrazione di autorevolezza e indipendenza di giudizio, che ha solo rafforzato il suo status e i suoi numeri di gradimento al Times. Non mancano, secondo Axios, quelli che in redazione si lamentano per la sua prossimità con la politica. Ma fino a quando lo show di Klein resterà il più visto e ascoltato sulla piattaforma digitale del giornale, le lamentele avranno poco seguito.