in estremo oriente
Il bullismo della Cina contro il Giappone per Taiwan è una lezione anche per noi
Pechino risponde alla crisi diplomatica con la sua pressione economica e disinformazione. E così facendo ricorda a Tokyo e a chiunque osi parlare di Taiwan fuori dal copione cinese quanto può essere alto il prezzo di una frase di troppo
Ieri la Repubblica popolare cinese ha bloccato tutte le importazioni di prodotti ittici dal Giappone. Capesante e cetrioli di mare giapponesi avevano ricominciato a viaggiare verso la Cina solo cinque mesi fa, dopo estenuanti negoziati che erano durati quasi due anni. La misura non è stata ancora ufficializzata, ma è legata alla crisi fra Tokyo e Pechino che va avanti da più di dieci giorni, da quando la nuova premier nipponica Sanae Takaichi ha detto alla Dieta che un eventuale conflitto cinese per invadere Taiwan potrebbe provocare una reazione difensiva del Giappone.
E’ il metodo cinese della coercizione economica, che questa volta più di altre, però, è un messaggio anche al resto del mondo: con le dichiarazioni e le azioni belligeranti di questi giorni, la leadership del Partito comunista cinese sta riaffermando un principio già sottolineato in diverse occasioni, e cioè che le cosiddette “questioni territoriali cinesi” sono un affare interno su cui nessun paese può “interferire”. Ma appunto, è la versione di Pechino, che rivendica il territorio dell’isola di Taiwan come proprio anche se è autogovernato e de facto indipendente sin dal 1949, anche se il Partito comunista cinese non l’ha mai governato, anche se una eventuale guerra d’invasione sarebbe distruttiva per il resto del mondo. Le dichiarazioni di Takaichi alla Dieta del 7 novembre scorso, su un eventuale intervento giapponese in difesa di Taiwan, hanno sorpreso anche molti funzionari a Tokyo, ma non per l’ovvietà della constatazione – la distanza fra l’ultima isola a sud di Okinawa, in territorio giapponese, e la costa orientale di Taiwan è la stessa che c’è fra Civitavecchia e la Corsica, e un eventuale blocco navale cinese sarebbe devastante per il Giappone. Il punto è che il governo nipponico finora ha usato l’ambiguità strategica, cioè il non-detto, che è esattamente ciò che vuole la leadership di Pechino e che impone al resto del mondo – anche ai paesi europei: non parlare di Taiwan se non nei termini che fanno comodo alla Cina. Se lo fai, la ritorsione rischia di essere molto dolorosa.
Il canovaccio del metodo coercitivo cinese è quasi sempre lo stesso. Venerdì scorso da Pechino è arrivato un avviso ufficiale a evitare “per il prossimo futuro” qualsiasi viaggio in Giappone, e secondo l’Afp, a ieri sarebbero stati cancellati circa cinquecentomila biglietti aerei. Sorprendentemente, diverse compagnie cinesi hanno annunciato che rimborseranno integralmente il costo dei voli per viaggi prenotati fino al 31 dicembre. I turisti cinesi rappresentano la quota principale dei visitatori stranieri in Giappone. Lunedì scorso anche il governo di Tokyo ha emesso un avviso di viaggio verso la Cina, per rappresaglia ma anche perché spesso in passato il sentimento antigiapponese tra la popolazione cinese è sfociato in atti di violenza. Ieri è arrivata la notizia del blocco delle importazioni sui prodotti ittici: Pechino aveva bloccato le importazioni del pesce giapponese nel 2023, quando Tokyo aveva cominciato lo scarico in mare di piccole quantità di acqua trattata e diluita proveniente dalla centrale di Fukushima, seguendo le regole di sicurezza dell’Aiea. La Cina aveva usato la vicenda per accusare il Giappone di voler avvelenare gli oceani, e in questo modo avere una leva negoziale con il paese: l’ex premier Shigeru Ishiba era riuscito qualche mese fa a riaprire alcuni canali di commercializzazione, ma adesso si torna alla situazione precedente. La leadership cinese sta usando sempre di più la coercizione economica combinata con strumenti di disinformazione sempre più sofisticati: per cercare di mitigare gli effetti della crisi diplomatica, lunedì l’Amministrazione Takaichi ha inviato a Pechino un funzionario di medio livello, il direttore generale dell’Ufficio per gli Affari asiatici e oceanici del suo ministero degli Esteri, Masaaki Kanai, a incontrare il suo omologo cinese Liu Jinsong. Non erano previsti punti stampa né foto, ma i due sono stati immortalati lo stesso dalla stampa cinese in una posa che sembrava quasi costruita a tavolino: si vede Kanai fare un accenno di inchino, com’è costume per i giapponesi, verso Liu che invece è in una posa molto poco formale e rilassata, con le mani in tasca. Quell’immagine era ieri su tutti i giornali della propaganda di Pechino.