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fragili equilibri

Lo spettro dell'“incidente” per Ursula

David Carretta

Il voto sul pacchetto “Omnibus” rivela le fratture nella maggioranza europeista. Gli errori di von der Leyen e il malcontento si accumulano. Nessuno pensa alle sue dimissioni. Ma lei ha paura di una censura politica

Bruxelles. Ursula von der Leyen è in difficoltà. Dopo una brutta estate, segnata dall’accordo umiliante imposto da Donald Trump sui dazi, l’autunno si sta rivelando altrettanto difficile per la presidente della Commissione. L’ultimo episodio è il voto al Parlamento europeo giovedì sul pacchetto “Omnibus sostenibilità”. Per un giorno la “maggioranza Ursula” a Bruxelles è stata sostituita dalla “maggioranza Giorgia”: il Partito popolare europeo ha votato con tutti i gruppi alla sua destra su un provvedimento legislativo, rompendo il cordone sanitario e rinunciando a fare compromessi con gli altri gruppi pro Europa. E’ la stessa configurazione politica – o quasi – con cui Giorgia Meloni governa a Roma. Il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, è tutt’altro che pentito. Ma la sua manovra mina ulteriormente la stabilità della maggioranza e alimenta il risentimento di socialisti, liberali e verdi non solo contro Weber, ma anche contro von der Leyen, incapace di rimettere in riga il leader del suo partito. La portavoce della presidente della Commissione ieri ha detto che von der Leyen vuole continuare a lavorare con “le forze pro Europa e pro democrazia” come ha fatto dall’inizio del suo mandato. Si è anche felicitata che la “maggioranza Ursula” sia rimasta unita su un altro provvedimento, gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2040.

 

Eppure von der Leyen è nervosa. Le voci di una sua caduta imminente o di un rimpatrio in Germania sono infondate. Ambasciatori, funzionari e deputati europei sono unanimi nel ritenere che, al momento, questo non sia uno scenario realistico. Ma la presidente della Commissione teme un potenziale incidente, che viene evocato anche nei ranghi del Ppe: un voto di censura al Parlamento europeo nel quale ottiene sufficienti voti per sopravvivere sul piano giuridico, ma non su quello politico. Per provocare la caduta di una Commissione servono quasi i due terzi del Parlamento. Un esito impossibile. Ma come reagire se il cumulo dei malcontenti porterà metà dei deputati a votare contro von der Leyen? Sarebbe ancora possibile restare in carica?

 

Durante il suo primo mandato, le crisi del Covid, della guerra in Ucraina e dei prezzi dell’energia hanno permesso a von der Leyen di nascondere debolezze ed errori. L’effetto bandiera ha prevalso, ben oltre la tradizionale luna di miele di cui beneficia ogni presidente della Commissione. Nel 2024 von der Leyen è stata confermata grazie a un bilancio positivo in termini di gestione delle emergenze. “Ha portato risultati”, è stata la motivazione usata più spesso da sherpa e ambasciatori. E’ dal giorno in cui la Commissione von der Leyen II è entrata in carica che sono iniziati i problemi, solo in parte dovuti alla maggiore influenza della destra sovranista e dell’estrema destra. I metodi accentratori di von der Leyen sono venuti alla luce del sole. Le sue scelte troppo a destra hanno rotto l’equilibrio tra Ppe, socialisti e liberali. Alcune sue decisioni e indecisioni hanno irritato il Parlamento europeo e i governi.

 

Il primo anno del secondo mandato di von der Leyen è stato segnato dalla grande marcia indietro sul Green deal, marchio di fabbrica del suo primo mandato. La Commissione ha presentato sei pacchetti di semplificazione “Omnibus” e ha rinviato l’entrata in vigore di altre norme ambientali. Si appresta a fare altrettanto nel digitale, con la sospensione di alcune norme sull’intelligenza artificiale e la revisione del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali. La scusa usata da von der Leyen è il Rapporto di Mario Draghi. Ma i suoi critici sottolineano che la semplificazione è solo una delle raccomandazioni. Le misure più difficili suggerite da Draghi – dall’unione dei mercati dei capitali a uno strumento di debito comune – sono state ignorate da von der Leyen. Il ritorno di Donald Trump avrebbe dovuto spingere la presidente della Commissione a molta più ambizione per affermare la sovranità europea. Tanto più alla luce degli attacchi di Elon Musk e J. D. Vance all’Ue. Invece von der Leyen si è piegata. In primavera ha sospeso le misure di ritorsione per i dazi sull’acciaio. In estate ha accettato un accordo penalizzante, che prevede dazi zero per le merci americane e dazi al 15 per cento per quelle europee. Per non irritare Trump, la Commissione ha di fatto sospeso le procedure contro X per violazione del Digital Services Act.

 

Un altro passo falso che viene contestato a von der Leyen è la proposta per il nuovo Quadro finanziario pluriennale. Il bilancio 2028-34 dell’Ue, che ridimensiona in modo radicale le politiche tradizionali dell’Ue (agricoltura e coesione), è stato preparato da un gruppo ristretto di fedelissimi, senza consultare quasi nessuno. Il Parlamento europeo ha minacciato di non avviare i negoziati, fino a quando lunedì von der Leyen ha fatto alcune concessioni. L’autunno è iniziato male anche sulla guerra in Ucraina: la sua proposta di usare gli attivi sovrani russi immobilizzati per finanziare un “prestito di riparazione” da 140 miliardi, presentata il 10 settembre, non si è ancora materializzata. Il Belgio si oppone perché rischia di rimetterci 185 miliardi di euro. Prima dell’annuncio, von der Leyen non si era degnata di consultare il governo belga, limitandosi a coordinarsi con il cancelliere tedesco, Friedrich Merz.

 

Il Quadro finanziario pluriennale e il “prestito di riparazione” illustrano il metodo von der Leyen. La presidente della Commissione ha centralizzato le decisioni su di sé. Si è circondata di un gruppo di collaboratori tedeschi o germanofoni. I commissari – compresi i vicepresidenti – vengono trattati come dipendenti, in molti casi con disprezzo, oppure lasciati all’oscuro, come sul bilancio 2028-34. Sull’uso degli attivi sovrani russi von der Leyen sta cercando di mettere il Belgio con le spalle al muro, giocando con il fattore tempo e la mancanza di alternative. “E’ come se fosse cieca”, spiega un diplomatico. “Sta accumulando errori”, conferma un secondo diplomatico. “Vive in una torre d’avorio tedesca”, aggiunge un deputato. La Commissione procede al ritmo dettato dalla Germania. Von der Leyen ha avviato una guerra personale con l’Alto rappresentante, Kaja Kallas, sottraendole competenze e ostacolando il suo lavoro. Protetta dal presidente del Consiglio europeo, António Costa, gli ha appena fatto uno sgarbo boicottando il vertice con i paesi dell’America latina in Colombia.

 

Le voci su una partenza di von der Leyen sono state alimentate dalla stampa tedesca, che ha ipotizzato una candidatura per la presidenza della Repubblica federale tedesca nel 2027. Lei ha smentito, i rapporti con Merz non sono così buoni e il suo passato in Germania come ministro della Difesa ha lasciato pessimi ricordi dentro e fuori la Cdu. Dimissioni forzate sono improbabili. L’Ue non può permettersi una crisi interna nel momento in cui è circondata da crisi esterne. Mancano potenziali sostituti di peso: i leader nazionali non vogliono alla testa della Commissione una personalità forte come Draghi. Più che i governi, von der Leyen teme un incidente al Parlamento europeo. La presidente della Commissione si è affidata a Manfred Weber per portare avanti la sua agenda. Ma il capogruppo del Ppe gioca una sua partita, usando una potenziale maggioranza con l’estrema destra come minaccia contro i socialisti e i liberali. Il voto sul pacchetto “Omnibus sostenibilità” è solo l’ultimo di una serie di sgarbi che mina la stabilità della maggioranza pro Europa e danneggiano von der Leyen. “L’alleanza del Ppe con l’estrema destra non funziona e non aiuta”, ammette un deputato dello stesso Ppe.

 

Al Parlamento la presidente della Commissione ha già dovuto subire due mozioni di censura presentate dall’estrema destra. A luglio la censura è stata votata da 175 deputati su 720: 360 hanno votato a favore della presidente. A ottobre i “no” a von der Leyen sono stati 179, contro i 378 “sì”. Il margine è ampio solo in apparenza. In entrambe le occasioni von der Leyen ha dovuto fare concessioni ai socialisti e ai liberali per assicurarsi il loro voto. A ottobre alcune componenti del Ppe – come i francesi dei Républicains – hanno votato contro di lei. Con lo scontento che si accumula, tra popolari, socialisti, liberali e verdi, basta poco per spostare un centinaio di voti. Per far cadere la presidente della Commissione, serve la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenti la maggioranza dei membri del Parlamento. Ma, di fronte a 273 voti contrari e 272 favorevoli, von der Leyen potrebbe davvero restare?.