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Elezioni
La Carrà, il rap, il passato. Così il Cile al voto si divide tra una comunista e una destra dura
Tutti i sondaggi danno in testa Jeannette Jara, candidata del centrosinistra unito. La prospettiva più probabile è un ballottaggio con José Antonio Kast, ma nelle ultime elezioni che ci sono state in America latina i sondaggi ci hanno azzeccato poco
Anche Raffaella Carrà e il rap sono entrati nella campagna elettorale per il voto in Cile di domenica. Già popolare ministro del Lavoro, capace di vincere le primarie del centrosinistra con il 60,16 per cento delle preferenze contro il 28,08 della ministra dell’Interno Carolina Tohá, Jeannette Jara ha con sé ben undici sigle, dal suo Partito comunista al Partito democratico cristiano. Più socialisti, liberali e radicali, uniti col Partito per la democrazia della Tohá nella coalizione Socialismo democratico. Più il Fronte ampio del presidente uscente Gabriel Boric. Più altre quattro sigle minori. Ma, appunto, Jara è comunista, e il presidente dc Alberto Undurraga si è dimesso quando il partito ha deciso di sostenerla: “Il nostro elettorato non ci seguirà”, ha avvertito. Una delle carte che Jara ha giocato, allora, è stata quella di diffondere manifesti in cui ha ricordato come la cantante italiana, popolarissima in tutto il mondo di lingua spagnola, negli anni ’70 avesse confidato in una intervista di votare per il Pci.
Ha pure detto di considerare il venezuelano Maduro un dittatore, ma è stata criticata anche a sinistra quando ha definito Cuba “un altro tipo di democrazia”. E pure contraddittorio è che prima abbia detto di non voler sospendere la propria militanza comunista, e poi abbia invece promesso che lo farà se eletta. Altri presidenti cileni del passato hanno sospeso la propria militanza. Anche una candidata non comunista, comunque, avrebbe avuto problemi, con la spinta a destra in corso. Boric, cui la Costituzione impedisce la ricandidatura immediata, ha un indice di gradimento del 35 per cento. Già leader studentesco ed espressione di una spinta al rinnovamento che veniva appunto dalle proteste degli studenti, appena insediato si è trovato però di fronte a una spinta opposta, che prima ha respinto per referendum la nuova Costituzione espressa da una Costituente; poi ha eletto un altro organismo costituente talmente a destra che al nuovo referendum il centrosinistra ha preferito votare contro il documento che ne era uscito, tenendosi la Costituzione di Pinochet come male minore. E i temi dominanti della campagna sono stati marcatamente a destra: dalla delinquenza all’immigrazione clandestina.
Paradossalmente, questa spinta a destra un po’ avvantaggia la Jara, perché di fronte a un centrosinistra unito si presentano ben quattro candidati importanti di quell’area, oltre a tre candidati minori. In teoria, dello spazio al centro che si apre con la Jara potrebbe approfittare Evelyn Matthei, anche lei ex ministro del Lavoro. Espressione della coalizione Chile Vamos, con cinque partiti, è figlia di un generale che fu membro della giunta militare, ma rappresenta una destra che con i due mandati di Piñera è riuscita a governare mettendo assieme ex pinochettisti con ex antipinochettisti, e appunto ha ora una immagine sfumata, vista come parte dell’establishment contro cui picchia José Antonio Kast. Proprio per provare a recuperare a fine campagna elettorale si è esibita a cantare un rap sul cassone di un camion illuminato solo da luci al neon viola, attorniata da ballerini per lo più donne. “Non sono Kast, non sono Jara/ sono Evelyn che guarda avanti”. E’ diventata virale, ma ha fatto arrabbiare Kast, che ha ricordato come lui alla Matthei avrebbe detto di votarla, se va al secondo turno.
Accostato a Bolsonaro, Kast rivendicava Pinochet senza problemi, ma ha smesso di farlo, e quattro anni fa, arrivato al ballottaggio, andò a congratularsi con Boric nel suo comando elettorale, quando fu chiaro il risultato. Anche solo questo gesto lo fa apparire più moderato rispetto a Johannes Kaiser, il cui Partito nazional libertario si richiama all’argentino Milei, e che a parte essere No vax ha pure chiesto di mettere al bando il Partito comunista. Anzi, dice che se necessario ci vorrebbe un nuovo golpe. Inoltre vorrebbe uscire dall’Onu, e mentre Kast promette di tagliare la spesa pubblica di sei miliardi di dollari in 18 mesi, lui arriva a 16 miliardi “il prima possibile”. Alla Jara che aveva ricordato come il Cile non sta cadendo “a pedazos”, a pezzi, a risposto “no, a balazos”: a colpi di pallottole, per la delinquenza. Meno ideologico ma altrettanto estremo è Franco Parisi, il cui Partito della gente propone ad esempio di mettere i carcerati in navi prigione al largo.
Grazie a questa divisione della destra, tutti i sondaggi danno in testa Jeannette Jara, con percentuali tra il 24 e il 34. La prospettiva più probabile è un ballottaggio con Kast, tra il 16 e il 23, contro l’11-19 della Matthei, e il 4-14 di Parisi. Solo un sondaggio dà per il secondo posto un testa a testa tra Kast e Kaiser, e un altro indica Kaiser e la Matthei. Al ballottaggio del 14 dicembre la Jara perderebbe però sia con Kast sia con la Matthei, mentre sarebbe testa a testa sia con Kaiser sia con Parisi. Il tutto, certo, ricordando che nelle ultime elezioni che ci sono state in America latina i sondaggi ci hanno azzeccato poco.