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editoriale
Il giusto no del Corriere al signor Lavrov
La scelta di non pubblicare il monologo del ministro russo senza contraddittorio non è legata a nessuna costruzione narrativa o a un tema geopolitico, ma solo a un'idea di un giornalismo adulto
Capita raramente che una notizia riguardi non ciò che un giornale pubblica, ma ciò che decide di non pubblicare. Eppure è lì che, a volte, si misura la salute di una redazione. L’episodio del Corriere della Sera con il ministro degli Esteri russo appartiene a questa categoria: niente eroismi, nessuna crociata, solo il rifiuto di accettare un formato che di intervista aveva il nome, non la sostanza. La storia la conoscete. Mosca ha inviato un testo fiume, senza possibilità di replica o di obiezione. Una consegna, non un dialogo. Il Corriere ha fatto la cosa più semplice e più rara: ha chiesto di poter fare domande e di poter contestare le risposte. Di fronte al no, ha chiuso lì la faccenda. Nessun dramma, nessuna costruzione narrativa. Solo una linea: se non possiamo interrogarti, allora non stiamo facendo il nostro mestiere. Questo è il punto interessante. Non è un tema di geopolitica, né un giudizio sull’interlocutore. E’ un promemoria sul funzionamento di un giornale: lo spazio non è neutro, e concederlo non è mai un gesto tecnico. Lasciare passare un monologo travestito da intervista significa rinunciare a un principio elementare: che la parola pubblica, per essere tale, deve essere attraversabile dalle domande.
Non c’è compiacimento, non c’è rivendicazione morale, non c’è la tentazione di trasformare la vicenda in un titolo su se stessi. C’è semplicemente la difesa di un metodo, che poi è ciò che distingue un giornale da un pannello informativo (anche se, detto tra parentesi, il metodo del no alle interviste pubblicate come rielaborazioni di monologhi degli intervistatori, spesso monologhi scritti, andrebbe applicato anche quando l’intervistatore non si chiama Lavrov). Si può non essere d’accordo con il Corriere su mille cose, ma questa volta ha fatto qualcosa di utile: ha ricordato che la libertà non consiste nel pubblicare qualunque cosa arrivi, bensì nel decidere come deve avvenire un confronto. E’ un gesto piccolo, quasi artigianale, che però mantiene in vita un’idea adulta del giornalismo. E, di questi tempi, non è poco.
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