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L'editoriale dell'elefantino
Invece di sindacare il focolare ebraico, Mamdani guardi la trave che ha conficcata nel suo occhio
Il sindaco di New York e i suoi accoliti continuano a dire che non riconoscono il diritto di Israele a esistere come stato. Ammettano che il loro ecosistema democratico liberale egualitario è fondato su basi di legittimità forse inferiori a quelle dello stato ebraico che vorrebbero distruggere
Quello spregioso di Zohran Mamdani ha designato una attivista antisraeliana a capo del suo staff. E viene in mente un paradosso del cowboy e dell’indiano americano. Il sindaco e i suoi accoliti continuano a dire che non riconoscono il diritto di Israele a esistere come stato, per non parlare del genocidio a Gaza. Perché non volgono la loro attenzione militante agli Stati Uniti d’America, e pluribus unum, in God we trust, e non la piantano di ficcare il naso nella legittimità statale e nei genocidi degli altri, per così dire, per replicare la loro astuzia pro Hamas? Vadano fino in fondo. La dicano tutta e giusta. Se c’è un genocidio accertato, compreso il confinamento coatto nelle riserve e lo sterminio con le armi e con l’alcol, è quello degli indoamericani. Se c’è uno stato costruito su schiavitù e colonialismo è quello delle colonie americane ribellatesi da puritane al re inglese tassatore e capaci di estendere, naturalmente in nome dei diritti eguali di tutte le creature umane, diritti naturali di origine divina, il loro potere coloniale western alla nazione più forte e ricca del mondo. Stanno a sindacare il focolare ebraico, gli amici del sindaco indo-ugandese, sistema castale per parte materna e altro regno alleato del traffico schiavista arabo per filiazione paterna, ma guardassero la trave che è conficcata nel loro occhio, questi combattenti del boicottaggio antisionista.
Qui si dice paradosso, senza indulgenza per le scemenze alla Marlon Brando contro la nazione bianca e il suo esproprio violento della nazione indiana. Ma per loro il paradosso non vale? Gli americani del nord hanno costruito una grande civiltà su base puritana, non interessa se uguale inferiore o superiore, ma grande, nel paese di Toro Seduto, degli scalpi e dei cerchi di fuoco e degli accampamenti pellerossa. Non sono stati gentilissimi con i nativi, che resistevano col ferro e col fuoco, e con la lama per impugnare la loro pelle e i loro capelli. Anche gli americani del sud hanno fatto la stessa cosa, con l’aiuto dei gesuiti e in nome di Gesù Cristo. Gli amerindi sterminati con le armi e con l’arma della fame e della droga si contano a milioni. Nella storia del mondo, Gandhi compreso, l’impero inglese compreso, i successori di Gandhi compresi, sistemi discriminatori, perfino con la statuizione di una categoria di intoccabili o per la tolleranza nei suoi confronti, non sono sconosciuti, come dovrebbe sapere il figliolo dell’indiana Mira Nair, e in Uganda non si sa se la giustizia trionfasse all’epoca del Kabaka, Mutesa I, e dei traffici di avorio e persone, più di quanto l’abbiano portata i protestanti colonizzatori di poi, più di quanto l’abbiano restaurata con l’indipendenza tipini come Idi Amin Dada e soci, rivalutati da babbo Mamdani alla Columbia University. Cerchiamo di essere non dico seri ma almeno composti nell’uso del linguaggio e del giudizio geografico antropologico e politico.
Se Israele deve cadere sotto la mannaia ideologica dell’accusa di colonialismo, malgrado il suo sottosuolo archeologico sia una specie di riassunto della Torah, malgrado sia una nazione costruita su un esodo di immigrati poveri e perseguitati, malgrado una legittimazione internazionale che non gli ebrei ma gli arabi e i palestinesi hanno sempre e da sempre rifiutato, allora questi campioni dei postcolonial studies, questi retori della linea del colore, ammettano di stare seduti confortevolmente su una carta geografica assemblata con la forza, la discriminazione e in certi casi perfino il cannibalismo. Ammettano che il loro ecosistema democratico liberale egualitario, che li ha eletti e li tiene in vita come classe dirigente, è fondato su basi di legittimità forse inferiori a quelle dello stato ebraico che vorrebbero distruggere. E Mamdani metta un indiano a capo del suo staff, si dichiari non antisraeliano ma antiamericano in nome del no al genocidio.