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un primo bilancio

Sei mesi di Friedrich Merz

Daniel Mosseri

In politica estera il cancelliere tedesco si muove con energia, ora è a lavoro sul fronte interno per la tenuta della coalizione: il governo subisce la forte pressione degli ambienti produttivi per un programma più orientato al business, con meno welfare e meno burocrazia

Berlino. Friedrich Merz ha fama di essere uno che non le manda a dire. Unico fra i leader europei ad affermare che Israele ha fatto bene a bombardare l’Iran nel giugno del 2025, più di recente è inciampato nella propria assertività quando, in visita a Potsdam, ha affermato che i problemi dei panorami urbani tedeschi sono legati ai migranti “ed è per questo che il ministro federale dell’Interno sta facilitando e attuando espulsioni su larga scala”. Incassate le accuse di essere uno xenofobo, giorni dopo da Londra ha aggiustato il tiro affermando che le persone con un retroterra migratorio sono “una parte indispensabile del nostro mercato del lavoro” ma il suo animo conservatore è subito riaffiorato quando ha aggiunto che purtroppo molte persone in Germania e in Europa “hanno paura di muoversi negli spazi pubblici” a causa dei migranti “che non lavorano e non rispettano le nostre regole”.

Merz, che si vuole erede politico di Helmut Kohl, è entrato nel sesto mese del suo cancellierato. Da uno così ci si sarebbe aspettati fuoco e fiamme non solo in politica estera ma anche in quella interna, con tagli al welfare, incentivi alle imprese e un pedatone a tutto ciò che può sembrare ecologista. Per i tedeschi non sarebbe poi il primo cancelliere dai modi diretti. “Anche (il socialdemocratico) Gerhard Schröder diceva quello che pensava”, ricorda al Foglio Korbinian Frenzel, “ma Schröder era un animale politico che usava il linguaggio per indirizzare il dibattito politico, mentre con Merz questo non si vede”. Protagonista del canale radiofonico pubblico Deutschlandfunk Kultur, Frenzel “ha il polso” della Germania con il suo programma quotidiano di interviste a rappresentanti dei media, della cultura e della politica. E osserva che il cancelliere “è prigioniero di una coalizione con un partner che non è d’accordo con lui su quasi nulla”. Peculiarità dell’ultima campagna elettorale, il leader della Cdu ha fatto credere a tutti che avrebbe governato alla Trump, pur sapendo che avrebbe avuto bisogno del sostegno almeno dei socialdemocratici, e “solo per diecimila voti”, rammenta Frenzel, “non ha dovuto imbarcare anche i Verdi”. Oggi il bilancio conservatore di Merz è in chiaroscuro: è vero che la politica migratoria è cambiata, ma era già cambiata sotto Scholz. I nuovi controlli alle frontiere hanno un valore soprattutto simbolico, e l’Spd, sapendo che l’opinione pubblica è a favore di queste decisioni se non addirittura della xenofobia di AfD, lascia fare. Perché chi mantiene le promesse alla fine è proprio la Spd.

E’ vero che Merz sta inasprendo le regole per ottenere il reddito di cittadinanza voluto dal governo di Olaf Scholz, ma alla fine, osserva Frenzel, “si potranno risparmiare forse 5 miliardi, che non è poco, ma non è una svolta epocale”. Nel frattempo, il salario minimo legale è in netta crescita mentre la riforma delle pensioni pensata dal governo mira a tutelare solo i pensionati di oggi e di domani, “che poi sono una gran parte dell’elettorato”, riconosce Frenzel. Non solo i deputati più giovani della Cdu hanno minacciato di impallinare la riforma ma in generale “il governo subisce la forte pressione degli ambienti produttivi per un programma più orientato al business, con meno welfare e meno burocrazia”, spiega il giornalista. Ed ecco spiegato una volta ancora perché Merz si dedica con tanta energia alle questioni internazionali e di difesa, alla protezione del fianco orientale della Nato e al riarmo: sul fronte interno ha le mani legate. Frenzel non scommette sulla tenuta della coalizione, “a meno che l’economia riparta nel giro dei prossimi sei mesi”. In quel caso la maggioranza potrà ritrovare la fiducia in sé, e i due partiti al governo uno nell’altro dopo una serie di false partenze. Sulle sorti del capo del governo tedesco abbiamo interrogato anche il professor Ulrich von Alemann, politologo dell’Università di Düsseldorf. Anch’egli vede un peccato originale nella promessa fatta da Merz in campagna elettorale “di mantenere il freno all’indebitamento” pur sapendo che avrebbe governato con uno o due partiti di sinistra. Maggioranze alternative, d’altronde, non ci sono. Il cancelliere e capo della Cdu respinge le aperture di alcuni suoi colonnelli, soprattutto quelli dei Länder orientali, nei confronti dell’AfD, arroccata su posizioni estremiste. Ma in Germania non esiste solo il governo federale e Von Alemann azzarda una profezia: “Il cordone sanitario verrà meno già nel corso di questa legislatura”. Succederà non a livello centrale ma nei Länder orientali, “a meno che (Merz e la Cdu) decidano di governare con l’AfD, cosa che probabilmente non faranno”.