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Editoriali

Kherson ha la colpa di essere libera

Redazione

Sono trascorsi tre anni dalla liberazione della città e Mosca la punisce ogni giorno cercando di uccidere quanti più ucraini possibile usando i droni per dare la caccia ai civili. La tortura sta nell’inseguimento stesso e poi, ovviamente, c’è il colpo finale: lo sparo, la morte

 

L’11 novembre del 2022, tre anni fa, la città ucraina di Kherson veniva liberata dall’occupazione russa. Era stata la prima grande città a essere presa dall’esercito di Mosca all’inizio dell’invasione su larga scala. Si era svuotata, i suoi cittadini erano stati costretti a vivere nella paura dei soldati invasori che giravano casa per casa alla ricerca di “traditori”, civili che dimostrassero il minimo cenno di sostegno all’Ucraina: un messaggio nel telefono, una bandiera, un tatuaggio con un simbolo di Kyiv. Kherson visse dieci mesi come una città fantasma, le storie di torture uscirono non appena gli ucraini ripresero la città dopo il ritiro dei russi, ordinato da Mosca per timore che i soldati fossero tagliati fuori dalle linee di rifornimento a causa della controffensiva degli ucraini.

 

Per celebrare la liberazione, quell’11 novembre qualcuno espose sul palazzo del municipio di Kheson non soltanto la bandiera ucraina ma anche quella dell’Unione europea. La liberazione non ha coinciso con la sicurezza: Mosca sente di dover infliggere una pena doppia alla città liberata. Kherson è praticamente sul fronte e gran parte della regione di cui fa parte, e che prende il suo nome, si trova sotto occupazione. I russi sono giusto al di là del fiume Dnipro, oltre il ponte e ogni giorno lavorano per uccidere quanti più ucraini possibile. Da più di un anno usano i droni: vengono mandati a seguire i civili. Li inseguono, danno loro la caccia, li tormentano quando sono sui mezzi pubblici, in bicicletta, in casa, in macchina. I civili iniziano a scappare per mettersi in salvo non appena percepiscono la presenza di un drone. La tortura sta nell’inseguimento stesso e poi, ovviamente, c’è il colpo finale: lo sparo, la morte. Così vivono i civili a Kherson, da tre anni. Ieri il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è andato nella città a ricordare la liberazione, a ringraziare i cittadini per la resistenza. A Kherson la Russia sta infliggendo una pena quotidiana, un tormento insostenibile. E’ la tortura per aver resistito, per volere essere quello che è e sente di essere: una città ucraina.

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