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dall'America

Lettera agli amici di sinistra invaghiti del modello Mamdani

Antonio Monda

Nel neo sindaco di New York spaventa sia l’inesperienza che qualche tono populista, ma nel finale della campagna ha smentito dichiarazioni inaccettabili quali “l’intifada globale”: da primo cittadino sarà costretto a fare i conti con i compromessi della politica, altro che definanziare la polizia

Amici di sinistra, io Zohran Mamdani l’ho votato e mi sono pure emozionato durante il discorso di accettazione, ma se pensate di applicarne il modello alla nostra politica vi avviate a una cocente delusione. Alcune sue proposte economiche mi sembrano irrealizzabili, e spaventa sia l’inesperienza che qualche tono populista, ma nel finale della campagna ha smentito dichiarazioni inaccettabili quali “l’intifada globale”: da sindaco sarà costretto a fare i conti con i compromessi della politica, altro che definanziare la polizia.

 

L’ho votato perché secondo l’insegnamento di papa Roncalli non vedo una persona da dove viene, ma dove va, e oggi è importante dare un segnale a un’Amministrazione che concepisce il potere come imposizione e ricatto, disprezza gli avversari e restringe le libertà individuali. Non sono tra coloro che negano risultati quali la tregua, per quanto precaria, e la liberazione degli ostaggi in medio oriente, e mi interessa poco la volgarità propinata quotidianamente: Lyndon Johnson, a cui dobbiamo il Civil Rights e l’assistenza sanitaria per i meno abbienti, non aveva modi molto più raffinati. Con gli immigrati tuttavia è stata superata una linea rossa: Biden e Obama ne hanno espulsi di più, ma le immagini delle persone incatenate o in gabbia alle spalle di Kristi Noem, sono indegne di un paese civile. A questo va aggiunta la trasformazione di New York – anche in questo caso da parte di politici di ogni colore – in una metropoli nella quale può permettersi di vivere solo chi ha un reddito alto: finanzieri e immobiliaristi hanno votato in massa Cuomo, espressione organica all’establishment e al partito.

 

Sebbene sia nato in una condizione di privilegio – la madre è la bengalese Mira Nair, il padre il docente ugandese Mahmood Mamdani – il nuovo sindaco rappresenta la quintessenza del sogno americano. “New York rimarrà una città di immigrati, costruita da immigrati, resa potente da immigrati, e da stasera guidata da un immigrato” ha dichiarato: nulla di tutto ciò può applicarsi all’Italia, e le sue parole confermano che New York non rappresenta un’eccezione, ma una realtà che il resto dell’America potrà divenire.

   

Capisco il vostro entusiasmo, corroborato dai risultati in Virginia, New Jersey e California, ma si tratta di realtà culturalmente, economicamente e politicamente diverse. I provvedimenti del nostro governo non sono paragonabili a quelli dell’amministrazione, e solo per fare un esempio, Sixty Minutes, a cui si ispira il giornalismo di inchiesta di tutto il mondo, è stato multato con 16 milioni di dollari per aver sbilanciato a favore di Kamala Harris le interviste elettorali. Nella città degli immigrati vivono 349 mila milionari tra cui 129 miliardari: un habitat unico al mondo, nel quale Mamdani propone la “tassa ai ricchi”, i quali minacciano di trasferirsi altrove, con potenziali effetti catastrofici sull’economia della città. Le sperequazioni italiane non hanno nulla di simile, come la mobilità interna. Il sindaco che prendete a modello ha seguito in campagna elettorale i punti programmatici dei socialdemocratici americani, a cominciare dal ritiro della Nato e la nazionalizzazione delle aziende manifatturiere e tecnologiche, oltre a quelle dei servizi pubblici e delle ferrovie, quanto di più inaudito in America. Siete sicuri che sia una scelta giusta, praticabile e di successo? E come vi ponete sulla globalizzazione, considerata uno strumento del neocolonialismo, come insegna Mamdani Sr. alla Columbia? E’ solo un paradosso che sia una lotta speculare a quella di Trump? Io continuo a pensare che il segnale di questa vittoria sia superiore ai rischi che comporta, ma l’invaghimento nostrano rivela un antiquato substrato ideologico, e non è un caso che si tenda a glissare che il successo è arrivato sconfiggendo i potentati che hanno condizionato per decenni il partito.

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