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Il caso

Junts passa all'opposizione: governo Sánchez sempre più precario

Marcello Sacco

La portavoce del partito degli indipendentisti catalani Miriam Nogueras ha annunciato che non garantirà più l'appoggio esterno alle leggi del governo: "nessun voto di Junts contribuirà all'impoverimento della Catalogna"

Roma. La spallata al governo del socialista Pedro Sánchez è arrivata giovedì mattina da Junts per Catalunya. Il partito degli indipendentisti catalani ha come portavoce la deputata Míriam Nogueras, ma il presidente è sempre Carles Puigdemont, che guida il partito da Waterloo, dove ha sede il Consiglio per la Repubblica, organismo che per sua stessa definizione mira a organizzare e promuovere l’indipendenza della Catalogna dopo la dichiarazione unilaterale del 2017. Fuggiasco per una buona parte dell’opinione pubblica spagnola, “esule” chi in Catalogna considera i castigliani una forza di occupazione straniera. E il linguaggio usato da Nogueras per annunciare che il suo partito non garantirà più l’appoggio esterno alle leggi del governo Sánchez è un linguaggio da popolo oppresso. “Nessun voto di Junts contribuirà all’impoverimento della Catalogna”, ha detto Nogueras in conferenza stampa, chiedendo come sia possibile “che si investano 128 euro per ogni cittadino catalano e 365 euro per ogni madrileno”.

Ma a chi le domanda se voterebbero a favore di una mozione di censura presentata dalle destre, risponde: “Non siamo qui per dare stabilità a nessun partito spagnolo”. La portavoce ha inoltre manifestato tutto il disappunto del partito per il fatto che il governo non sia entrato in contatto con Junts a proposito della prossima legge di Bilancio. Eppure, il governo sempre traballante del Psoe, in coalizione con Sumar, ha un disperato bisogno dei sette deputati di Junts indispensabili per evitare di andare sotto nelle votazioni. E la prossima Finanziaria rischia di diventare una delle prime vittime, cosa particolarmente grave se si pensa che Sánchez non riesce a farne approvare una dal 2023. Ma Nogueras, in vena di frecciatine, ha citato altre leggi che non vedranno la luce. Una è la cosiddetta “legge Begoña”, controversa perché in odore di essere cucita su misura dei guai giudiziari della moglie di Sánchez (Begoña Gómez) a costo di limitare il meccanismo di “azione popolare”, un diritto previsto dalla Costituzione spagnola per garantire che cittadini, associazioni o altri soggetti possano partecipare a procedimenti penali anche se non sono vittime dirette. Ma i segnali di insofferenza fra catalanisti, di ispirazione conservatrice, e un esecutivo spesso additato come il più di sinistra in Europa, vengono da lontano e sembrano essere la naturale conseguenza di un matrimonio d’interesse del tutto privo di affinità elettive.

La legge sull’amnistia, faticosamente negoziata, non ha permesso a Puigdemont di tornare dal Belgio. La riduzione dell’orario di lavoro settimanale è stata bocciata a settembre con i voti di Junts uniti a quelli del Partito popolare e di Vox. La legge era il fiore all’occhiello della ministra del Lavoro Yolanda Díaz, comunista di Sumar, che non a caso ha tuonato: “Non rappresentano gli interessi degli indipendentisti, bensì dei padroni spagnoli più reazionari”. Reazionari o meno, certamente Junts è sensibile ai mal di pancia della classe media catalana. Non a caso aveva scritto insieme ai socialisti una legge che delegava alla Catalogna le competenze sulla politica migratoria. Curiosamente somigliava molto a quella che in Portogallo i conservatori hanno approvato con l’estrema destra di Chega, soprattutto laddove i catalanisti rivelavano la fissazione per il grado di “catalanità” dello straniero.

In più, puntavano a svuotare il governo centrale di qualsiasi competenza su permessi di soggiorno, regolazione annuale dei flussi e controlli di sicurezza affidati ai famosi Mossos (la polizia locale che non dipende dal Ministero degli Interni). Anche questa proposta è caduta a settembre con i voti contrari delle destre e di alcuni deputati di Sumar insieme a quelli di Podemos, che la coalizione della Díaz l’hanno abbandonata nel 2023 e hanno apertamente bollato la legge come razzista. Una legge che un socialista come Sánchez poteva firmare solo sapendo di essere con l’acqua (o un coltello?) alla gola. Durante tutto il dibattito parlamentare, i suoi deputati si sono sforzati di sottolineare i vantaggi del decentramento, mentre proprio Míriam Nogueras accusava gli immigrati di essere i responsabili del collasso dei servizi pubblici. All’epoca Jordi Turull, segretario di Junts, aveva detto che in autunno il partito avrebbe ridiscusso la continuità al sostegno parlamentare. “Prima di mangiare i torroni di Natale la decisione sarà presa”, era il virgolettato della stampa spagnola. Un leghista milanese avrebbe detto “vediamo se Sánchez arriva a mangiare il panettone”.

 

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