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L'editoriale dell'elefantino
La radicalizzazione in Italia della sinistra del dopo Mamdani? Sorrisi
Le scuole cercano di educare i Mamdani all’italiana, ma sono abbastanza inefficaci nel loro latinorum lumpen o sociale. Il fronte mediatico si presta di più, ma la politica per fortuna è un’altra cosa, almeno per il momento
Si dovrebbe fare attenzione in Italia a mimare il mito Mamdani, la radicalizzazione come risposta alla crisi degli establishment, come risorsa per la lotta politica, come nuova cultura che soppianta il riformismo. Siamo di nuovo controcorrente. Al governo c’è una buona amica di Trump che fa il contrario di Trump, pratica il mainstream europeista, garantista, riformista, e in quel segno per ora prospera, nonostante i giovani fascisti canterini in camicia nera della Parma verdiana, litigiosa, faziosa, come diceva Bruno Barilli scrivendo nel 1930 di musica e antropologia politica, un grande critico cui rende onore l’antologia di Berardinelli e Marchesini (un capolavoro). All’opposizione una leader della radicalizzazione timida, marca Cgil, monotona e ripetitiva a parte l’armonia dei colori, incapace di divellere l’establishment delle correnti di partito e di un campo largo di centrosinistra con e senza pochette, con e senza Prodi, che le si rivolta contro per mancanza di una strategia alternativa di governo, sempre di mainstream si parla.
A vedere un Gualtieri a Roma, che le cose le fa senza strepito, o una Salis a Genova, da sperimentare, o un Sala a Milano, o la piattaforma leghista di amministrazione lombardo-veneta, o lo stato maggiore del postberlusconismo, con il panciuto e imbambolato ma efficace Tajani, c’è da dubitare che qui attecchisca la tassa figa, tax the rich, e il welfare invocato con estremo estremismo da Zohran, il segno di Zohran, è già diffuso e praticato senza bisogno di radicalizzazioni. I conti a posto sono semmai il problema, e ci pensa un ministro non radicalizzante come Giorgetti, con l’aiuto delle banche se necessario. Il fronte mediatico si presterebbe in teoria un po’ di più. Ma chi è distruttivo e radicalmente filorusso, chi predica il genocidio ebraico in Palestina, il Fattoide, deve poi fare i conti con l’opulenta classe dei magistrati ispiratori, alcuni dei quali pregiudicati, con un Conte bis e tris e quater che non si sa dove possa trovare l’energia per diventare un Garibaldi, con le balle di Jeffrey Sachs infilzate come una bolla maligna dai centristi come Calenda. Renzi fu a suo modo un radicalizzatore di successo, con la storia propagandistica e felice della cosiddetta rottamazione, con il Jobs Act in stile Milei, ma come schema politico anticipava Macron, era alla fine uno fico della Margherita, un cattolico liberal, bianco anche se non suprematista, simbolo poco radicale, non un outsider. Dopo Soumahoro e il diritto al lusso, non si vede nella comunità multietnica o musulmana un eponimo di Mamdani, il mondo occidentale dell’Italia media non sarà maltrattato dai Casamonica.
Mi si potrà obiettare, con i commentatori di Repubblica, in procinto di traslocare a un editore di destra moderata, che la rivolta antisionista delle università e delle piazze ha spaccato. Sì, hanno spaccato, ma le vetrine e le orecchie di noi benpensanti antipogrom, e nel libro di Lerner e Di Segni si vedono la forza del realismo rabbinico e la debolezza del piagnisteo umanitario, con tutto il rispetto per le emozioni. In Italia non c’è la linea del colore, l’ipotesi di una rivolta che viene dal Terzo mondo, di cui facciamo visibilmente parte, in parte, ma senza appartenergli ideologicamente, come dimostrano il modello Milano e tante altre cosucce più o meno digitali. I centri sociali sono club abbastanza esclusivi di apparenti refoulé che hanno molto il senso dell’avventura e poco il senso del lavoro ben fatto. Le scuole cercano di educare i Mamdani all’italiana, ma sono abbastanza inefficaci nel loro latinorum lumpen o sociale. Pasolini era un radicalizzato ante litteram, ma per sua ammissione non aveva le prove. Sarà per un’altra volta.
meglio giovani e fortunati