in ucraina
La bandiera ucraina a Pokrovsk e la propaganda di Mosca
Vladimir Putin vuole usare la città per dimostrare a Donald Trump che il Donetsk è spacciato, ma la mappa del fronte racconta un'altra storia
Ogni battaglia all’ultimo metro quadrato è entrata nel racconto della guerra fra la Russia e l’Ucraina come una storia di resistenza e distruzione. Ogni nome di città più o meno grande è stato pronunciato dagli ucraini con la consapevolezza che di là dalla cortina di occupazione non sarebbero crollate soltanto macerie, ma anche abitanti sottomessi ai soldati di Mosca, alle loro regole, al trattamento imposto a tutti i territori occupati: divieto di parlare ucraino, nuovo sistema scolastico, nuovo passaporto, mobilitazione forzata, difficoltà sanitarie. Mariupol, Bakhmut, Avdiivka e ora Pokrovsk, assieme ad altri non sono soltanto i nomi di città per le quali i soldati hanno combattuto, resistito, sono le storie e le immagini del soffocamento russo in Ucraina. Alcune città sono più strategiche di altre, e Pokrovsk, per la quale gli ucraini stanno lottando da oltre un anno, lo è molto. I russi hanno provato a prenderla bombardandola senza sosta, circondarla, poi hanno cambiato idea, mandando piccoli gruppi di sabotatori, poi di fanteria, spesso difficili da riconoscere per i cecchini ucraini, perché vestiti da civili. Pokrovsk è distrutta, una città fantasma, ma la resistenza continua.
Dall’inizio dell’azione militare contro la città, i russi hanno detto che era fatta, che Pokrovsk era ormai caduta nelle mani dell’esercito. Da ultimo il capo di stato maggiore Valeri Gerasimov aveva raccontato a Putin che la città era completamente circondata con i battaglioni ucraini ormai in trappola. Ogni battaglia finora ha fatto parte della propaganda, ma con Pokrovsk è diverso perché la propaganda che Mosca vuole farne non è soltanto a uso e consumo dei russi incollati alla televisione di stato, ma anche esterna, negoziale, per convincere soprattutto gli Stati Uniti di quello che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha raccontato al presidente americano Donald Trump durante il vertice ad Anchorage, in Alaska, il 15 agosto. Putin andò all’incontro di Ferragosto non soltanto per mostrare al capo della Casa Bianca che la sua guerra aveva delle ragioni storiche profonde – e stando a diverse ricostruzioni, la pazienza di Trump si è esaurita proprio mentre il suo omologo indugiava sulle lezioni di storia – ma anche per dimostrare agli americani che l’Ucraina era ormai spacciata, che la cosa più conveniente e ragionevole che Volodymyr Zelensky avrebbe potuto accettare era cedere alle condizioni di Mosca e dare tutta la regione di Donetsk con le buone prima che l’esercito del Cremlino fosse andato a prendersela con le cattive. La lezione di storia su Trump non aveva attecchito, ma la distruzione del Donetsk aveva fatto breccia nel presidente, tanto che quando Zelensky, dopo il vertice in Alaska, andò alla Casa Bianca, dovette portare dietro le sue mappe del fronte per mostrare e dimostrare che Mosca stava mentendo. Pokrovsk conta i suoi giorni, i blogger militari che seguono l’esercito russo da giorni riempiono i media e i loro canali telegram con le storie della “liberazione”. Mosca chiama l’occupazione “liberazione”, oppure “ritorno delle regioni storiche”. Con la caduta di Pokrovsk, il Cremlino intende iniziare una campagna volta a dimostrare agli Stati Uniti che il Donetsk non ha speranze e dopo la conquista della città, seguiranno le altre, in direzione di un’altra oblast, Dnipropetrovsk. Il Donetsk però non finisce a Pokrovsk, oltre ci sono città come Slovjansk e Kramatorsk, più grandi e con un sistema di difesa implementato in oltre dieci anni. La Russia vuole usare Pokrovsk per dire di essere a un passo dalla conquista della parte restante della regione del Donbas, ma la verità sul terreno è un’altra e mostra che l’avanzata verso il resto della regione non è questione di giorni o di mesi, ma di combattimenti che dovrebbero durare ancora anni.
La bandiera della propaganda è pronta per essere issata a Pokrovsk, ma ieri Kyiv è riuscita a portare a termine un’azione insperata: gli uomini del reggimento Skelya (vuol dire roccia) hanno ripreso il controllo del palazzo del consiglio regionale della città. I russi sono fuggiti. La bandiera che ha ripreso a sventolare è quella ucraina.
meglio giovani e fortunati