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Negli Stati Uniti
Cosa ci dicono tre commentatori americani delle vittorie dei dem nell'èra trumpiana
Le elezioni a New York, in New Jersey e in Virginia e il referendum in California ci dicono che l'America "in realtà è un patchwork di varie popolazioni e luoghi", spiega Tanenhaus. E che "i democratici hanno evitato con successo di farsi etichettare con quelle questioni culturali poco popolari”, sostiene Foer
Due governatori eletti in New Jersey e Virginia, un referendum passato in California per la redistribuzione dei distretti elettorali, un sindaco eletto nella capitale finanziaria del paese. Il popolo progressista sta ancora festeggiando, ma nella coalizione democratica c’è cautela per capire cosa farsene di questa vittoria, soprattutto in vista delle midterm del 2026. “L’ala sinistra del partito democratico”, dice al Foglio il fondatore di Semafor Ben Smith, “cercherà sicuramente di riproporre il modello Mamdani da qualche altra parte”. Ma la cosa che più ci portiamo a casa da questa giornata elettorale, la prima della nuova epoca Maga, “è che gli elettori trumpiani non votano quando il nome di Trump non compare sulla scheda elettorale”.
E’ d’accordo anche Franklin Foer, dell’Atlantic, autore di una biografia di Biden (L’ultimo dei politici). I democratici sono bravissimi, dice al Foglio, “hanno ottimi risultati nell’èra trumpiana quando Trump non deve essere eletto”. Ma, ci dice Foer, “c’è anche qualcosa di rivelatorio in queste vittorie: hanno dimostrato che i democratici hanno evitato con successo di farsi etichettare con quelle questioni culturali poco popolari”. Zohran Mamdani, eletto sindaco con un programma sul costo della vita in città, si è tenuto alla larga da tutta la questione woke, pronomi e quant’altro. “Si sono concentrati”, continua Foer, “sulla questione dell’accessibilità economica. Praticamente hanno preso il tema che ha portato Trump alla vittoria, l’hanno girato e usato contro di lui”. “It’s the economy, stupid”, direbbe James Carville. L’intellettuale Sam Tanenhaus, che ha da poco scritto una magistrale biografia di William F. Buckley Jr., è in parte di altro avviso. “Il nome di Trump era su ogni scheda elettorale. Lo era a New York, in quanto miliardario ‘costruttore’ che ha aiutato a rendere la città inabitabile per i non ricchi. E anche in quanto intollerante avversario degli immigrati. Lo era nel New Jersey, in quanto nemico del frontaliero dei sobborghi, dato che ha cancellato i fondi per un grosso tunnel tramviario che collega lo stato con New York City. Lo era in Virginia, insieme al Doge e al Project 2025, perché circa 150 mila impiegati federali vivono lì. Quanti hanno perso il loro lavoro nell’ultimo anno o sono stati messi in cassa integrazione per via dello shutdown? Quanti sono stati denunciati quotidianamente in quanto burocrati del deep state”, chiede l’ex editor della New York Times Book Review.
E in California? “La California è quasi uno stato a sé stante, per dimensioni, ricchezza e complessità. Per ogni miliardario convertitosi ai Maga nella Silicon Valley ci sono migliaia di nuovi immigrati a Los Angeles, oltre a contadini e proprietari di fattorie”, spiega Tanenhaus al Foglio, ricordando che ha una lunga tradizione di referendum, che un tempo potevano anche modificare le leggi statali fiscali. Bisogna vedere se anche gli altri stati guidati dai dem proveranno a ridisegnare i distretti per contrastare la redistribuzione fatta negli stati repubblicani, come ha fatto con successo il governatore democratico Gavin Newsom, che “si diverte ad azzuffarsi con Trump”. Tornando a New York, ci dice Tanenhaus, bisogna vedere se Mamdani riuscirà a governare “in modo responsabile, unendo i vari elementi di potere e influenza che dominano la politica newyorkese. Uno fra tutti i finanzieri di Wall Street”, tenendo conto che miliardari come Michael Bloomberg hanno puntato un sacco di soldi su Andrew Cuomo in chiave anti Mamdani. “Un altro gruppo di potere molto forte è quello dei sindacati municipali, inclusi i sindacati della polizia e dei pompieri. Riuscirà Mamdani a mettersi alle spalle l’idea di tagliare I fondi alla polizia? Se non lo fa e ci sono altri picchi di crimine potrebbe finire nei guai”.
Se c’è qualcosa che ci insegnano queste elezioni, “considerati anche questi quattro luoghi così diversi tra loro”, è che l’America, ci dice Tanenhaus, “così spesso descritta come polarizzata o biforcata, in realtà è un patchwork di varie popolazioni e luoghi. Per anni abbiamo sentito parlare dei tre ‘colori’ ideologici – rosso, blu e viola – o delle sue categorie razziali e di genere – bianchi, neri, ‘eteronormativi’, Lgbtq… Ma sentiamo parlare molto meno della vastità fisica e della diversità geografica del paese. Sto rileggendo Walt Whitman, il nostro più grande poeta, e le sue poesie che celebrano la strada aperta. Magari questi risultati apriranno nuovi sentieri”.