Il presidente del Mali Assimi Goita con l'omologo russo, Vladimir Putin, durante un incontro a Mosca lo scorso giugno (foto LaPresse)

sotto assedio

In Mali i jihadisti circondano la capitale. È il fallimento russo

Luca Gambardella

I golpisti si erano fidati di Mosca ma ora i terroristi affiliati ad al Qaida bloccano le vie d'accesso a Bamako. I timori per uno stato governato dai militari e pronto a finire nelle mani dagli imam estremisti

Uno dei gruppi jihadisti più forti e organizzati dell’Africa, Jama’at Nusrat al Islam wa al Muslimin (Jnim), da giorni accerchia la capitale del Mali, Bamako, bloccando le forniture di gasolio dirette in città. E’ la prima volta  che Jnim si ritrova a minacciare così da vicino la città e la giunta golpista che ha preso il potere nel 2021, al punto che alcuni paesi occidentali temono che la tensione culmini con un cambio di regime in favore dei miliziani affiliati ad al Qaida. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Italia hanno intimato ai propri connazionali di lasciare il paese con voli di linea, mentre le vie d’accesso terrestri sono preda degli agguati dei terroristi. L’allerta emanata dalle cancellerie occidentali è dovuta al “fermo imposto agli approvvigionamenti di gasolio, alla chiusura delle università e ai combattimenti tra le forze governative e i terroristi attorno a Bamako”,  ha avvisato l’ambasciata americana, che ha alzato al massimo il livello di allerta. 

I miliziani di Jnim, il cui acronimo sta per Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani, si sono sempre posti due obiettivi principali: cacciare i francesi e instaurare un sistema di governo basato sulla sharia. Il primo è stato raggiunto a novembre del 2022, con la fine dell’operazione militare Barkhane rinnegata dalla giunta golpista che ha preferito rivolgersi all’aiuto militare della Russia. Che ora i jihadisti siano in grado di raggiungere anche il secondo obiettivo invece resta da vedere. Jnim è un gruppo sovranazionale, attivo in Burkina Faso, Benin e di recente anche in Nigeria. Proprio nel paese su cui il presidente americano Donald Trump ha concentrato di recente le proprie attenzioni denunciando i rischi di un genocidio dei cristiani, la settimana scorsa un militare è stato ucciso nello stato di Kwara. Si tratta della prima vittima rivendicata da Jnim in Nigeria ed è la prova che la rete transnazionale del gruppo si va via via allargando. “Bisogna vedere ora se i jihadisti decideranno di concentrarsi sul Mali continuando ad assediare Bamako o se invece continueranno a proiettarsi verso gli altri paesi limitrofi”, spiega al Foglio Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola superiore Sant’Anna ed esperto di Sahel. “Più che la creazione di un governo sul modello dei talebani in Afghanistan potrebbe realizzarsi una sorta di compromesso politico, con un avvicendamento da un regime militare a uno religioso di ispirazione fondamentalista”.  

Ci sono alcuni elementi che portano a pensare a una svolta in atto nel paese del Sahel. A partire da settembre dello scorso anno, Jnim ha lanciato diversi attacchi contro i grandi centri urbani – Kayes, Niono, Ségou, Timbuktu, Douentza. Si è trattato di operazioni condotte spesso in contemporanea, che hanno dimostrato una notevole capacità a livello militare. Finché, sempre a settembre del 2024, i terroristi non hanno colpito il cuore di Bamako con due attentati, uno alla scuola della gendarmeria nazionale e uno all’aeroporto. Dopo avere messo in luce la fragilità delle Forze armate e degli alleati russi, la strategia di Jnim sembra essere ora quella di strangolare questi grandi centri urbani, chiudendone di fatto le vie di accesso. E’ un lento logorio che prende di mira i rifornimenti di gasolio che arrivano via terra dalla Costa d’Avorio e soprattutto dal Senegal, vitali per un paese senza alcuno sbocco sul mare. 

Secondo Ulf Laessing, esperto di Mali del Konrad Adenauer Foundation, un think tank tedesco, “finora i jihadisti avevano preso il controllo solo di zone rurali. Se adesso conquistassero la capitale, con l’uso della forza o attraverso negoziati con il governo, potrebbero imporsi anche nelle altre grandi città. E se il Mali cade nelle mani di Jnim, anche Burkina Faso, Niger e i paesi costieri dell’Africa occidentale sono ugualmente a rischio”, dice l’analista basato a Bamako. Da tempo Jnim si è evoluta. “C’è stata una tacita presa di distanza del gruppo dalla comunicazione ufficiale di al Qaida per presentarsi come una realtà meno transnazionale e più nazionale, per esempio adottando simboli nuovi e forme di comunicazione autonome”, ,dice Raineri. “E negli ultimi tempi Jnim ha pubblicizzato con più enfasi le sue capacità di reclutamento anche in posizioni apicali delle figure del sud del paese”. L’intenzione “è di candidarsi a ricoprire un ruolo politico, diventando un attore con cui è necessario negoziare”. 

Una delle conseguenze dell’avanzata di Jnim verso Bamako sarebbe quella di mettere in dubbio il futuro dei mercenari russi nel Sahel. Secondo Laessing, i giorni degli African Corps nella regione, inviati con la pretesa di colmare il vuoto lasciato dal ritiro delle forze occidentali, potrebbero essere contati. “Se i russi non saranno in grado di mettere al sicuro le forniture di gasolio verso Bamako, le persone capiranno che le promesse di Mosca erano solamente illusioni”, dice il ricercatore tedesco. “E se non dovessero riuscire a mantenere al sicuro nemmeno la capitale, per gli African Corps sarebbe impossibile aggiudicarsi altri contratti in Mali e nel resto del Sahel, dove la Turchia potrebbe scavalcarli”. Un fallimento annunciato, quello dei russi in Mali, con voci di un rapporto sempre più conflittuale fra la giunta militare e gli African Corps, considerati dai golpisti troppo dipendenti dal Cremlino e poco e sempre meno disposti a funzionare come una sorta di “guardia pretoriana” al servizio della giunta militare. Gli americani osservano interessati gli sviluppi e recentemente si sono dichiarati disponibili a riaprire i canali di dialogo con Bamako. In ballo ci sono anche le enormi riserve di litio del paese.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.