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Le mire di Trump

I contorni non definiti della strategia americana in Venezuela nell'escalation contro Maduro

Maurizio Stefanini

L'operazione statunitense viene presentata come una guerra alla droga ma il Venezuela è un narco-stato "funzionale": non produce coca. Il presidente americano parla di 300.000 morti l'anno per overdose negli Usa, in realtà le ultime cifre ufficiali parlano di 87.000 morti

Cosa vuole Trump dal Venezuela? Mettere le mani sul petrolio, bloccare il flusso di droga che uccide i cittadini statunitensi o arrivare a un regime change? In realtà, le tre interpretazioni che vengono date sulla escalation in corso contro il regime di Caracas non si escludono a vicenda. E’ vero che il Venezuela possiede la prima riserva petrolifera del mondo, stimata nel 2016 a 299,953 miliardi di barili, pari al 18,17 per cento del totale mondiale. Ma la produzione, che era di 3,2 milioni di barili al giorno quando Chávez arrivò al potere, era precipitata a 300.000 barili al giorno a causa della cattiva gestione della società petrolifera statale Pdvsa. 

Successivamente, grazie all’intervento della Chevron – che ottenne una licenza dall’Amministrazione Biden nell’ambito del cosiddetto “Processo di Barbados”, una trattativa con l’opposizione destinata a portare a elezioni accettate da tutti – la produzione è risalita a 900.000 barili. Maduro si è invece attribuito una vittoria elettorale contestata dall’opposizione e non confermata da alcun verbale ufficiale, nonostante le pressioni anche di governi amici come quello di Lula. Lo stesso Lula ha poi posto il veto al Venezuela nei Brics. La Norvegia, che aveva mediato, ha addirittura premiato María Corina Machado con il Nobel per la Pace come segnale di condanna a Maduro. Trump avrebbe potuto revocare la licenza alla Chevron, ma Maduro, nell’ambito di una politica di ostaggi stranieri – in cui è rimasto coinvolto anche il povero Alberto Trentini – aveva trattenuto dieci cittadini statunitensi. Trump ha inviato il suo mediatore Richard Grenell per liberarli, e in cambio la Chevron ha mantenuto la licenza. A quel punto, Trump ha inviato una squadra navale al largo del Venezuela. Quindi l’escalation non è iniziata perché le compagnie petrolifere statunitensi volevano estrarre in Venezuela, ma perché Maduro non voleva che se ne andassero. 


Nel suo primo mandato, Trump aveva dato forte supporto all’opposizione venezuelana e al governo alternativo di Juan Guaidó. Un regime change rientrerebbe dunque nella logica delle cose, e presumibilmente i venezuelani lo gradirebbero. Secondo un recente sondaggio tra 6.757 latinoamericani, di cui 2.777 in Venezuela, il 73 per cento degli intervistati – e l’81 per cento dei venezuelani – definisce il governo Maduro “una dittatura”; il 72 per cento  considera le elezioni del 2024 “rubate” o “fraudolente”; il 53 per cento  ritiene legittimo un intervento militare statunitense per rovesciare Maduro. E’ vero che le recenti esperienze di regime change nel mondo islamico hanno creato gravi problemi, non tanto nell’abbattere il regime quanto nel costruire il dopo. Ma in America Latina il precedente di Panama è considerato tutto sommato positivo: pur con un bilancio stimato tra 400 e 700 vittime, la democrazia si è consolidata, gli ex norieguisti hanno potuto alternarsi al potere senza traumi e il Canale è stato restituito a Panama senza problemi – almeno fino alle ultime uscite di Trump.


Ovviamente, la capacità militare del Venezuela è maggiore di quella di Panama, ma tutti gli analisti concordano sul fatto che il paese non resisterebbe a lungo a un intervento esterno. Il problema è che Trump, nel suo secondo mandato, ha un’agenda fortemente isolazionista e ha promesso agli elettori di non coinvolgere più gli Stati Uniti in guerre esterne. Così, da una parte afferma che “le ore di Maduro sono contate”; dall’altra assicura che non ci sarà alcuna guerra, anche se nuove navi sempre più potenti stanno arrivando e i marines si esercitano a Porto Rico per uno sbarco. Al momento è difficile capire se Trump voglia confondere Maduro, i suoi elettori, o se sia confuso lui stesso.

L’operazione è presentata più come una guerra alla droga, dai contorni tuttavia discutibili. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, Europol e Interpol, il Venezuela non sarebbe un “narco-stato” puro, ma un narco-stato “funzionale”: la corruzione dilagante favorisce l’infiltrazione dei narcos nelle istituzioni e tollera il traffico di droga, oro e carburante anche per sopravvivere al disastro economico. Però il Venezuela non produce coca; come punto di transito ha un ruolo minore, seppur in crescita; e non ha alcun legame con il boom del fentanyl, che proviene dal Messico con un ruolo cinese. Trump ha invece accusato Maduro all’Onu di essere coinvolto nel fentanyl e ha affermato che “ogni imbarcazione che abbiamo affondato avrebbe ucciso 25.000 statunitensi”, stimando 300.000 morti all’anno per overdose negli Stati Uniti. In realtà, le ultime cifre ufficiali parlano di circa 87.000 morti, e 25.000 moltiplicato per le 15 imbarcazioni affondate arriverebbe addirittura a 375.000.

Insomma, Trump dà letteralmente i numeri. Tuttavia, è vero che il blocco dei flussi di traffico potrebbe asfissiare il regime di Maduro. Non si sa in quanto tempo, se lo stile comunicativo di Trump potrebbe reggere l’attesa e, soprattutto, è improbabile che questa escalation possa continuare senza qualche drammatico salto di qualità.

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