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L'editoriale dell'elefantino
Don Giulio Albanese, il martirio dei cristiani in Nigeria e altrove e il jihad da contestualizzare
Il missionario e giornalista italiano ha detto che il gruppo di Boko Haram è diviso in correnti e ci sono dei moderati e la storia delle persecuzioni nel paese africano è largamente sopravvalutata. Ma la professoressa Nicolini della Cattolica di Milano dice: "Questo massacro è l’ennesima ferita inferta alla dignità di un popolo"
C’è kamikaze e kamikaze, ricordate?, dipende da come si intenda il jihad, materiale o spirituale. Ora don Giulio Albanese, bravo cristiano e collaboratore di Osservatore Romano e Avvenire, ci informa del fatto che c’è Boko Haram e Boko Haram, dipende, perché il gruppo è diviso in correnti, ha i suoi moderati, e questa storia delle persecuzioni dei cristiani in quanto cristiani è largamente sopravvalutata, in Nigeria e altrove. Va bene, anche don Giulio ce l’ha su con Trump, che non è certo la mia tazza di tè. Minaccia militarmente il governo della Nigeria in difesa dei cristiani dalle persecuzioni. Ma ha altri scopi inconfessabili? E queste persecuzioni, vero o falso? Ma alla radio, Radio3 Mondo, sentito con le mie orecchie, mi pare don Giulio si sia spinto un poco oltre il decente, quando ha menzionato il petrolio nigeriano e il consenso elettorale dei cristiani d’America come le uniche e sbilenche, uniche e sbilenche, ragioni del pronunciamento del Potus in merito agli eccidi nelle chiese del sud cristiano del paese africano.
Vero che in Nigeria la situazione è parecchio complicata, con i cristiani agricoltori e gli islamici pastori, gli uni sedentari, gli altri vagabondi, e vero anche il dato di fatto, suffragato dai numeri, per cui le vittime di Boko Haram e dell’Isis locale sono sia islamici sia cristiani. Fa bene don Giulio a distinguere, c’è Boko e Boko. Però l’Università Cattolica di Milano ospita la testimonianza seguente, con il suffragio della firma responsabile di un suo docente, la professoressa Beatrice Nicolini che non risulta affiliata ai Maga: “Questo non è un fatto isolato. E’ parte di una strategia più ampia, sistematica, che negli ultimi dieci anni ha visto la progressiva eliminazione di comunità cristiane rurali nel Middle Belt della Nigeria. I campi vengono distrutti, i luoghi di culto bruciati, le famiglie sterminate. Lo stato nigeriano non sembra reagire. Le forze di sicurezza arrivano sempre dopo. Le promesse presidenziali si susseguono, ma la verità è che i cristiani nigeriani delle zone rurali vivono ormai in uno stato di terrore costante, abbandonati. Una testimonianza doverosamente anonima afferma: ‘Da oltre venticinque anni studio e vivo questa realtà’”.
“‘So cosa significa camminare tra villaggi che una volta erano pieni di vita e ora sono ridotti a cenere e silenzio. Ho parlato con madri che hanno dovuto seppellire figli carbonizzati. Ho visto gli occhi di bambini che non conoscono la pace, che associano il buio della notte al rumore degli spari e al pianto delle madri. Questo massacro non è solo un crimine contro l’umanità. E’ l’ennesima ferita inferta alla dignità di un popolo che continua a resistere. Ma per quanto ancora? Se la comunità internazionale, se le autorità religiose, se lo stato stesso non riconosceranno con onestà che quello in corso è un lento genocidio religioso, allora non resteranno che le ceneri. Non possiamo, e non dobbiamo, più parlare di conflitto tra pastori e agricoltori, non possiamo più minimizzare con obsolete formule post coloniali dalle motivazioni etniche o socio-economiche’”. Ecco, non tutti i Boko e gli Isis sono uguali, e Trump non è uno stinco di santo, e il petrolio fa gola, sebbene gli Stati Uniti siano esportatori netti dell’energia, ma se don Giulio Albanese volesse approfondire anche da altre fonti, meno versate di quelle da lui consultate in distinzioni etniche e socio-economiche ispirate a formule postcoloniali, se volesse fare un uso per una volta meno enfatico di quello pro Hamas della parola genocidio, ecco per lui una documentazione facilmente accessibile nel web e altrove. Speriamo di potere dire domani che c’è un don Giulio e un don Giulio, e che il Vaticano di Chicago e Roma sa distinguere l’uno dall’altro.