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Medio Oriente

La leva degli haredim, un problema sottovalutato non più rimandabile

Fiammetta Martegani

Gli ultraortodossi "temono che l’integrazione nell’esercito possa cambiare, in modo permanente, la loro identità", dice il rabbino Pfeffer. Vorrebbero che il processo di laicizzazione venisse guidato dall'interno della loro società, mentre quella laica sta cercando di imporlo dall'alto

“Il problema della coscrizione all’interno della società ultraortodossa risale alla data di fondazione dello stato. Ma il vero spartiacque nella spaccatura tra società laica e haredim è stato l’attacco di Hamas del 7 ottobre”. Sono queste le parole di Yehoshua Pfeffer, rabbino ultraortodosso, da sempre aperto al dialogo con la società laica e direttore della rivista Tzarich Iyun. Come spiega al Foglio, questa frattura è intrinseca nella crescita di Israele, specie poiché in questo settore della nazione l’aumento demografico è in espansione.

 

Tuttavia, dopo oltre 750 giorni di guerra, la società laica ha raggiunto un punto di non ritorno che potrebbe portare alla caduta del governo e a un ritorno alle urne anticipato rispetto alla data ufficiale, prevista per il 27 ottobre 2026. Nonostante tutte le difficoltà nella gestione del conflitto, sia esterno che interno al paese, in questi oltre due anni di guerra, il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu era sempre e comunque riuscito a rimanere in piedi. Salvo, questa volta, rischiare seriamente di vacillare a causa di una crisi interna al suo stesso esecutivo, spaccato di fronte al rifiuto, da parte dei partiti ultraortodossi, di regolamentare la coscrizione – obbligatoria per tutti i cittadini e le cittadine israeliani ebrei, al compimento dei diciotto anni età – degli studenti delle yeshivah, esentati, de facto, dalle fila dell’Idf dalla fondazione del paese, nel 1948. Fino al massacro del 7 ottobre e la conseguente controffensiva israeliana che, dopo oltre due anni di conflitto, vede l’esercito sfiancato e la società laica non più disposta ad accettare un sacrificio così sproporzionato, costituendo gli haredim ben il 15 per cento della popolazione ebraica.

 

Alla vigilia della riforma sulla coscrizione che dovrebbe essere implementata alla Knesset la prossima settimana, giovedì è stata indetta a Gerusalemme una delle più grandi manifestazioni nella storia degli ultraortodossi – con presenti centinaia di migliaia di haredim provenienti da tutto il paese con lo scopo di bloccare l’arresto di circa 900 tra i 7.000 studenti di yeshivah che rifiutano di arruolarsi, mentre sono oltre 12.000 i posti attualmente vacanti tra i riservisti, che nel corso degli ultimi due anni hanno trascorso più di 400 giorni al fronte. “Il problema della coscrizione all’interno della società ultraortodossa – spiega Pfeffer – si è sempre sottovalutato rispetto ad altre problematiche collaterali: lo sproporzionato sostegno economico da parte dello stato a fronte di una società che poco contribuisce al pil, ma da cui molto attinge. Per anni gli sforzi per meglio integrare questa fetta di popolazione crescente si erano concentrati su un tentativo di integrazione sia sul piano economico sia su quello educativo. Ma dopo la tragedia del 7 ottobre e alla luce di una guerra ancora in corso e su più fronti le priorità, da parte della popolazione laica, sono mutate”. Anche perché è aumentata la consapevolezza di quanto questo conflitto, nonostante il temporaneo cessate il fuoco, sia destinato a trasformarsi in una guerra di attrito e poiché sono troppi gli israeliani al fronte che rischiano la propria vita, mentre le loro famiglie, e la loro situazione economica, si stanno sgretolando giorno dopo giorno.

 

“Il motivo principale per cui gli haredim rifiutano l’ingresso nell’Idf – continua Pfeffer – è poiché temono che l’integrazione nell’esercito possa cambiare, in modo permanente, la loro identità. Per questo stanno cercando, in tutti i modi possibili, di rallentare questo percorso, di fatto inevitabile, di laicizzazione. Gli ultraortodossi vorrebbero che questo processo venisse guidato dall’interno della loro società, mentre quella laica sta cercando di imporlo dall’alto, a causa dell’emergenza bellica in cui si trova. Sarebbe auspicabile e corretto trovare un giusto compromesso, anche solo per evitare un’ulteriore frattura all’interno della società israeliana, già fortemente divisa politicamente. Per assurdo, è stata la stessa strumentalizzazione politica nei confronti dei partiti ultraortodossi che ha garantito il loro potere fino a oggi. Ma ora questo do ut des senza reciprocità potrebbe determinare un effetto boomerang e far crollare non solo l’attuale governo, ma anche alcuni dei caposaldi su cui, per troppi anni, si sono negoziati tutti gli equilibri politici del paese”.

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