Trump, manipolato da Xi, ha ottenuto ben poco dal vertice di Busan

Fra dazi, terre rare e transazioni, i Maga sono in stato d'agitazione

Giulia Pompili

Al primo incontro con il leader cinese in presenza sin dal suo ritorno alla Casa Bianca doveva esserci la pace, ma la Cina ormai sa come trattare con il volubile presidente

Il risultato dell’attesissimo incontro fra i leader delle prime due economie del mondo avvenuto ieri nel triste aeroporto internazionale di Busan-Gimhae, messo a disposizione dalla Corea del sud per velocizzare le operazioni di transito, è riassumibile così: il leader cinese Xi Jinping è riuscito ancora una volta a manipolare il presidente americano Donald Trump. Il capo della Casa Bianca è arrivato al suo tour asiatico menzionando di continuo il vertice bilaterale con Xi, l’unico  di cui gli importasse davvero, e subito prima di entrare nella sala con il formale tavolo delle delegazioni ha scritto sui social che “il G2” stava per cominciare, usando un’espressione cara a Pechino perché nella logica di Xi riconsegna alla Cina il suo ruolo di potenza del mondo bipolare. 

   

Trump era convinto che il negoziato fra lui e Xi sarebbe durato tantissimo, “per quattro, cinque ore”, aveva annunciato. Perché c’erano tante cose di cui parlare, su cui accordarsi, da TikTok all’Ucraina, da Taiwan all’editore di Hong Kong Jimmy Lai passando per le terre rare, i semiconduttori e la soia. E invece i due leader sono usciti dall’aeroporto dopo poco più di un’ora e mezzo. E sono usciti dalla riunione avendo raggiunto soltanto un “consenso”, che nel linguaggio diplomatico significa che c’è ancora lavoro da fare, e molte riserve reciproche. Trump credeva di poter firmare un accordo, ma non è stato firmato niente. Nelle immagini di ieri – lontanissime, perché i giornalisti sono stati lasciati molto a distanza, e il governo sudcoreano ha provveduto anche a far sparire i manifestanti contro l’America ma soprattutto contro la leadership cinese che protestano ormai ogni settimana a Seul  – si vede Trump che vorrebbe mostrare di più ai fotografi, più relazione personale con Xi, che invece resta inespressivo, gli stringe soltanto la mano per una foto, e poi è Trump ad accompagnarlo alla sua limousine. Un gesto che è stato molto commentato online perché rappresentativo di una situazione ben diversa da quella in cui il presidente americano fa volare gli aerei da guerra sulla testa di Putin in Alaska e poi lo fa salire sulla Bestia in un clima di cordialità. Se è vero che la politica non è estetica, nel caso della leadership della Repubblica popolare cinese questo vale un po’ meno. 

 


Xi Jinping ha studiato le sue carte, ha rimandato spesso l’incontro avvenuto ieri, e infine  è arrivato preparato. Soprattutto, la delegazione cinese (composta tra gli altri dal capo della diplomazia cinese Wang Yi e da Cai Qi, il potente segretario del Partito comunista cinese, oltre che da He Lifeng, il vicepremier che si occupa dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti) sapeva che il vertice e l’eventuale accordo servivano  più all’Amministrazione americana che a Pechino. E’ il motivo per cui parlando con i giornalisti Trump ha ripetuto più volte che l’incontro era andato magnificamente: “Direi che, su una scala da 0 a 10, dove 10 è il massimo, darei all’incontro un 12”, ha detto a bordo dell’Air Force One mentre rientrava a Washington. Il presidente ha anche detto che la Cina ha accettato di sospendere i limiti all’export di terre rare, la misura che il mese scorso aveva provocato una reazione piuttosto concitata della Casa Bianca e per la quale Trump stava per annullare l’incontro, e che ci saranno più acquisti di soia, un modo per rassicurare gli agricoltori americani. In più, Pechino avrebbe assicurato di voler fare di più per fermare il flusso di sostanze chimiche che servono alla produzione del fentanyl, motivo per cui Washington ridurrà i dazi punitivi imposti sulle merci cinesi all’inizio dell’anno dal 20 al 10 per cento. Tutte formule che erano state già decise qualche giorno fa da He Lifeng e dal segretario al Tesoro Scott Bessent durante i negoziati a Kuala Lumpur. 

 


Dunque se gli investitori hanno festeggiato una prima tregua su una potenziale e dolorosissima guerra commerciale, ci sono ancora molte questioni in sospeso: il consenso tra le due parti durerà un anno, e da qui ad aprile, quando Trump volerà a Pechino per una visita di stato – probabilmente seguita da una visita reciproca in America di Xi Jinping – può succedere di tutto. Pechino ha una lunga storia di patti non onorati, e può farlo specialmente adesso che ha mostrato alla Casa Bianca di avere delle carte da giocare. Intanto Pechino ha ottenuto parecchio, si sa soltanto  dalla dichiarazione del ministero del Commercio cinese di ieri, che ha spiegato che oltre ai dazi reciproci l’America si impegna non solo a salvaguardare il social network TikTok, ma per esempio anche a seppellire l’indagine sulla concorrenza sleale cinese nel settore marittimo, tra navigazione e shipbuilding. E poi in cambio delle terre rare viene eliminata – almeno per un anno – anche la regola emessa a fine settembre dal dipartimento del Commercio americano, che imponeva controlli sulle esportazioni alle società controllate per almeno il 50 per cento da entità inserite nella gigantesca   Entity List americana. Trump ha anche annunciato che con Xi ha “discusso anche di semiconduttori e negozieranno con Nvidia e altre aziende per l’acquisto di chip”, limitando all’improvviso il ruolo della Casa Bianca a quello di “arbitro”.      

 


All’inizio del vertice, quando ancora c’erano i microfoni accesi, Xi Jinping ha detto a Trump che “lo sviluppo della Cina procede di pari passo con la visione ‘Make America Great Again’”. Un riferimento non casuale al movimento Maga, che reputa la Repubblica popolare il nemico numero uno dell’America. Ieri la War Room di Steve Bannon ha seguito l’evento in Corea del sud con una diretta insieme a diversi ospiti, e all’inizio l’ideologo del sovranismo trumpiano, da sempre sostenitore di un decoupling completo con Pechino, sembrava molto ottimista sul fatto che l’incontro tra i due leader sarebbe stato duro, complicato. Poi le sue espressioni sono man mano  cambiate, e riferendosi a Xi Jinping ha citato Lenin: “Lenin prendeva in giro l’occidente e diceva che i capitalisti gli avrebbero venduto la corda con cui li avrebbe impiccati. E sai una cosa? Non aveva poi così torto”. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.