il vertice

Trump dice di aver parlato con Xi di Ucraina. Xi non era molto interessato

Micol Flammini

Dopo il colloquio con il leader cinese, il presidente americano spiega che ucraini e russi "stanno litigando e a volte bisogna lasciarli litigare", ma Pechino "aiuterà" a far finire la guerra. Alla Cina non interessa la fine del conflitto, infatti non lo menziona neppure nel comunicato pubblicato dopo l'incontro 

L’Ucraina ha fatto ormai l’abitudine ai vertici inconcludenti, e ieri dall’incontro fra il presidente americano Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping non attendeva né progressi calcolati né colpi di scena in grado di portare almeno a un cessate il fuoco. Il capo della Casa Bianca, in una delle sue sfuriate contro il suo omologo russo Vladimir Putin, la scorsa settimana aveva annunciato che con Xi Jinping avrebbe sollevato l’argomento della guerra contro l’Ucraina. Per la prima volta prendeva forma l’idea di un dialogo che riguardasse la Russia, ma senza Vladimir Putin seduto al tavolo. Trump ha già parlato di Ucraina in assenza del presidente Volodymyr  Zelensky, ma non era mai accaduto che annunciasse dei colloqui sulla Russia in assenza di Putin. O senza la promessa di chiamarlo subito dopo un incontro per riferirgli l’esito delle sue conversazioni. Mosca è apparsa ben poco preoccupata dal vertice fra Trump e Xi, si fida dell’alleato cinese per un calcolo che, a quanto riferito dall’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’Ue Kaja Kallas, è semplice e risaputo: il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto con chiarezza a Kallas che la fine della guerra in Ucraina non è nell’interesse di Pechino, quindi la Cina non ha intenzione di agevolarne la conclusione. Trump non aveva possibilità di trovare in Xi Jinping un interlocutore valido e sarebbe stato molto difficile anche mettere la guerra di Putin fra i maggiori argomenti di conversazione quando i leader di Stati Uniti e Cina avevano da discorrere delle loro relazioni commerciali. Ne è venuta fuori una non-discussione. 


Trump, prima di salire sull’Air Force One, ai giornalisti che gli chiedevano se durante l’incontro avesse discusso con il leader cinese della guerra in Ucraina, ha risposto: “L’Ucraina è stata sollevata con forza, ne abbiamo parlato a lungo. E lavoreremo insieme per vedere se possiamo ottenere qualcosa. Abbiamo concordato che le parti sono bloccate. Stanno litigando e a volte bisogna lasciarle litigare, immagino. Pazzesco. Ma lui ci aiuterà e lavoreremo insieme sull’Ucraina. Non possiamo fare molto di più”. Dopo il colloquio con Xi Jinping, Trump è arrivato alla conclusione che ucraini e russi vadano lasciati combattere, la fretta di mettere fine alla guerra è scomparsa. L’impulso del cessate il fuoco in medio oriente è svanito. E’ scomparso anche l’ordine delle colpe: il capo della Casa Bianca aveva riconosciuto nelle ultime settimane che l’ostacolo alla pace fosse Vladimir Putin. Era stato lo stesso Putin a farglielo capire: ogniqualvolta i due si sono sentiti al telefono, ogniqualvolta Trump annunciava che la conversazione era andata bene, ogniqualvolta gli Stati Uniti si sono affaccendati a mostrare e cercare la strada per una soluzione, l’esercito russo ha bombardato l’Ucraina con attacchi ancora più veementi rispetto al solito. Dopo i colloqui con  Xi, invece Trump ha fatto un passo indietro, rimettendo sullo stesso piano gli  aggrediti e gli aggressori,  gli ucraini che finora si sono dimostrati pronti al compromesso pur di mettere fine alla guerra, e i russi che invece hanno continuato a insistere con le loro pretese. Il capo della Casa Bianca ha detto che l’Ucraina è stato un argomento “sollevato con forza”, ma nel comunicato cinese, molto meno entusiasta delle dichiarazioni del presidente americano, l’Ucraina neppure appare: Xi non deve essersi accorto di aver affrontato l’argomento o, più probabilmente, non lo ritiene sufficientemente rilevante da indicarlo nel comunicato.


L’aiuto cinese di cui Trump ha parlato ai giornalisti mentre stava per lasciare la Corea del sud – l’incontro con Xi è stato a Busan, a margine dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) – non esiste nei piani di Pechino. Dal vertice non è uscito nulla neppure sulla posizione cinese riguardo alle sanzioni sulle due maggiori compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil, imposte da Trump la scorsa settimana: il non detto delle sanzioni americane sta nella risposta cinese, per ora la Cina ha interrotto l’acquisto del petrolio russo via mare, ma assieme all’India detiene il  potere di infliggere al petrolio russo, e quindi all’economia di Mosca, il colpo più duro. 


Dal punto di vista russo, il vertice fra Trump e Xi non ha avuto nessuna rilevanza, se non quella di mostrare che Pechino non svia dal suo allineamento con Mosca. I giornali russi ieri preferivano riportare le parole di Trump sui futuri test sulle armi nucleari che gli Stati Uniti ricominceranno a eseguire per la prima volta dal 1992, raccontate al pubblico  come una risposta di panico agli ultimi missili russi testati: il Burevestnik e il Poseidon. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha poi presentato la linea ufficiale: l’annuncio di Trump  non innesca una nuova corsa agli armamenti, ma Mosca si riserverà di agire “in base alla situazione”. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)