l'esclusiva del washington post
Mentre Trump aumenta la pressione sul Venezuela, Maduro chiede aiuto a Putin
Con una lettera riservata il presidente venezuelano ha chiesto missili, radar e caccia alla Russia per rafforzare le difese contro Washington. Intanto le forze americane si muovono nei Caraibi
In una lettera indirizzata al leader russo, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha avanzato diverse richieste questo mese. L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump stava prendendo di mira le navi al largo delle coste sudamericane e mostrando i muscoli a Washington. Il Venezuela aveva bisogno dell’aiuto del presidente Vladimir Putin.
Le richieste includevano la revisione dei radar difensivi, la riparazione di aerei militari e, potenzialmente, di missili, secondo documenti interni del governo statunitense ottenuti dal Washington Post.
Secondo tali documenti, il governo venezuelano si è rivolto anche a Cina e Iran, sollecitando assistenza militare e forniture per rafforzare le difese del paese. Maduro ha scritto una lettera al presidente cinese Xi Jinping chiedendo una “maggiore cooperazione militare” tra i due paesi, al fine di contrastare “l’escalation tra Stati Uniti e Venezuela”.
Nella lettera, Maduro ha invitato il governo cinese ad accelerare la produzione di sistemi radar da parte delle aziende cinesi, presumibilmente per consentire al Venezuela di potenziare le proprie capacità di rilevamento.
I documenti riportano che il ministro dei Trasporti Ramón Celestino Velásquez ha recentemente coordinato una spedizione di attrezzature militari e droni dall’Iran mentre pianificava una visita in quel paese. Ha riferito a un funzionario iraniano che il Venezuela aveva bisogno di “apparecchiature di rilevamento passivo”, “scrambler GPS” e “quasi certamente droni con un raggio d’azione di 1.000 km [600 miglia]”, secondo i documenti.
Non è chiaro, dai documenti, come abbiano reagito la Cina e l’Iran.
La Russia, tuttavia, rimane l’ancora di salvezza principale per Maduro. Domenica, un Ilyushin Il-76 — uno degli aerei russi sanzionati nel 2023 dagli Stati Uniti per aver partecipato al commercio di armi e al trasporto di mercenari — è atterrato a Caracas, capitale del Venezuela, dopo un percorso tortuoso sopra l’Africa per evitare lo spazio aereo occidentale, secondo Flightradar24. Il Cremlino ha rifiutato di commentare la lettera.
Solo il giorno prima, Mosca aveva ratificato un nuovo trattato strategico con Caracas.
Queste manovre mostrano quanto Mosca abbia da perdere se il leader venezuelano, oggi sotto pressione, dovesse cadere. I progetti di alto profilo tra i due paesi continuano a essere portati avanti, tra cui una fabbrica di munizioni Kalashnikov inaugurata a luglio nello stato venezuelano di Aragua, circa vent’anni dopo essere stata promessa. Mosca detiene inoltre i diritti di esplorazione per riserve di gas naturale e petrolio non sfruttate, potenzialmente del valore di miliardi di dollari.
Tuttavia, secondo gli osservatori, le risorse e l’interesse di Mosca nel sostenere Maduro sembrano oggi più limitati rispetto al passato. Lo stallo tra Washington e Caracas potrebbe persino offrire ai russi alcuni vantaggi inaspettati, poiché contribuisce a distogliere l’attenzione americana dall’Europa.
Impantanata nella guerra in Ucraina e interessata a una cooperazione più stretta con altri partner latinoamericani, Mosca ha gradualmente ridotto il suo impegno in Venezuela negli ultimi anni, senza segni di un rinnovato sostegno a causa dell’attuale crisi.
“Il fatto che abbiamo spostato oltre il 10% delle nostre risorse navali nei Caraibi è già una vittoria, sotto certi aspetti, per Putin”, ha dichiarato James Story, ex ambasciatore statunitense in Venezuela e socio fondatore della società di consulenza geopolitica Global Frontier Advisors. “Il nostro rinnovato interesse per l’emisfero occidentale distrae la nostra attenzione dall’Ucraina. Ed è un vantaggio per Putin”.
I legami politici ed economici tra Russia e Venezuela risalgono a Hugo Chávez, fondatore dello stato socialista, dopo la sua ascesa al potere nel 1999. Il rapporto si è rafforzato negli anni 2000, 2010 e all’inizio degli anni 2020. Oggi, secondo gli analisti, comprende il settore petrolchimico, la vendita di armi, operazioni di propaganda condivise e accordi opachi sulle criptovalute.
Il rafforzamento militare degli Stati Uniti nei Caraibi rappresenta forse la sfida più seria per Maduro, successore di Chávez, da quando ha assunto la guida del paese nel 2013. Da settembre, più di una dozzina di attacchi statunitensi contro presunti trafficanti di droga — perlopiù partiti dalle coste venezuelane — hanno causato almeno 61 vittime. L’amministrazione non ha fornito prove del coinvolgimento delle navi nel traffico di droga, e Maduro ha negato ogni accusa.
La USS Gerald Ford, la portaerei più grande e moderna della Marina statunitense, è stata inviata nella regione.
Il messaggio ufficiale di Mosca sulle azioni di Trump contro il Venezuela, tuttavia, è rimasto relativamente moderato. All’inizio di ottobre, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha “espresso seria preoccupazione per la crescente escalation delle attività di Washington nel Mar dei Caraibi” in una telefonata con il suo omologo venezuelano.
Mercoledì, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che Mosca “rispetta la sovranità del Venezuela” e ritiene che la questione debba essere risolta nel rispetto del “diritto internazionale”, un argomento che il Cremlino utilizza spesso per eludere questioni geopolitiche delicate.
Ma oggi la Russia è più concentrata sui propri confini, impegnata nella guerra e alle prese con le sanzioni occidentali. Analisti della difesa sostengono che Mosca abbia spostato alcuni dei suoi principali punti di ascolto in America Latina dal Venezuela al Nicaragua, dove il presidente autoritario e filo-russo Daniel Ortega ha consolidato la sua presa sul potere.
“La realtà è che la Russia è stata relativamente silenziosa sul Venezuela”, ha affermato Douglas Farah, presidente della società di consulenza sulla sicurezza nazionale IBI Consultants. “E ha speso pochissimo capitale politico per difendere Maduro”.
Il presidente venezuelano, tuttavia, sta rafforzando le sue difese e ha bisogno dell’appoggio di Mosca.
Appello alla Russia
A metà ottobre, il ministro dei Trasporti Velásquez si è recato a Mosca per incontrare il suo omologo russo, secondo quanto riferito dal ministero dei Trasporti russo. Stando ai documenti ottenuti dal Post, avrebbe dovuto anche consegnare la lettera di Maduro a Putin.
Nella missiva, Maduro chiedeva ai russi di aiutare a potenziare le difese aeree del Venezuela, incluso il ripristino di diversi caccia russi Sukhoi Su-30MK2 precedentemente acquistati dal paese. Il presidente venezuelano sollecitava inoltre assistenza per la revisione di otto motori e cinque radar in Russia, l’acquisto di 14 set di quelli che si ritiene siano missili russi, e un non meglio specificato “supporto logistico”, secondo i documenti.
Maduro sottolineava che i caccia Sukhoi di fabbricazione russa “rappresentavano il deterrente più importante di cui disponeva il governo venezuelano di fronte alla minaccia di guerra”, si legge nei documenti statunitensi.
Il presidente chiedeva anche alla Russia un “piano di finanziamento a medio termine di tre anni” attraverso Rostec, il conglomerato statale russo della difesa. I documenti non indicano l’importo richiesto.
Essi riferiscono inoltre che Velásquez avrebbe dovuto incontrare il primo vice primo ministro russo Denis Manturov per consegnargli una seconda lettera. Non è chiaro, tuttavia, se il viaggio si sia effettivamente svolto né come il governo russo abbia risposto alla richiesta di Maduro.
“Pura spazzatura”
Chávez fu il primo a dare il via a quello che sarebbe diventato un lungo periodo di acquisti di armi russe, tra cui carri armati, caccia Sukhoi e missili terra-aria.
Analisti e funzionari con esperienza nell’esercito venezuelano affermano che gran parte di quel materiale è oggi inutilizzabile o obsoleto. Un ex ufficiale militare venezuelano, che ha parlato in anonimato per timore di ritorsioni, ha raccontato che nel 2018 il paese disponeva di meno di cinque caccia Sukhoi operativi.
Secondo la stessa fonte, Chávez acquistò anche elicotteri e missili russi, ma molti di essi sono ormai vecchi e non rappresentano una reale minaccia per l’esercito statunitense.
“Chávez comprò — o la Russia vendette al Venezuela — pura spazzatura”, ha dichiarato.
Maduro, tuttavia, ha affermato questo mese che il Venezuela ha schierato 5.000 missili terra-aria portatili Igla-S di fabbricazione russa in tutto il paese.
Un cambio di regime in Venezuela rappresenterebbe un duro colpo per Mosca, che perderebbe un alleato chiave e rischierebbe di indebolirne un altro: Cuba. L’isola, da ancora più tempo alleata della Russia, ha un apparato di intelligence strettamente intrecciato con quello del Venezuela di Maduro, e secondo gli osservatori potrebbe essere la prossima nella lista di Washington.
Tuttavia, alcuni analisti mettono in dubbio la reale dedizione della Russia a Maduro. Il segnale pubblico, oggi, è diverso da quello del 2019, quando circa cento soldati russi guidati dal generale Vasily Tonkoshkurov arrivarono in Venezuela su un trasporto militare AN-124, in una chiara dimostrazione di forza contro l’opposizione sostenuta dagli Stati Uniti.
Anche il recente trattato di cooperazione con il Venezuela non equivale a un vero impegno militare.
Victor Jeifets, caporedattore della rivista scientifica russa Latin America, ha spiegato che l’accordo — che affronta temi come il riciclaggio di denaro e la proliferazione nucleare — resta vago in materia di cooperazione militare, limitandosi a suggerire che le due parti “rafforzino i legami nel campo della difesa”.
Con le sue forze già impegnate in Ucraina, la Russia è oggi meno in grado di sostenere un leader amico oltreoceano, anche se lo volesse.
“La Russia interverrebbe in caso di un’operazione statunitense? Non credo rientri nei piani immediati delle autorità russe”, ha affermato Jeifets.
Legami petroliferi
La Russia resta comunque uno dei principali attori nel settore petrolifero venezuelano, che produce un greggio denso e pesante, difficile da lavorare. I russi forniscono input fondamentali per la raffinazione di quel petrolio e forniture di benzina per mantenere operativa l’industria locale.
Le aziende statali russe detengono investimenti diretti in tre joint venture venezuelane che producono 107.000 barili di greggio al giorno — circa l’11% della produzione totale del paese — generando circa 67 milioni di dollari al mese, ha dichiarato Francisco Monaldi, direttore del Programma energetico latinoamericano della Rice University.
La Russia possiede inoltre i redditizi diritti di esplorazione ed esportazione dei giacimenti di gas offshore di Patao e Mejillones. I suoi diritti sulle riserve accertate ma ancora inutilizzate di greggio venezuelano hanno un valore stimato di 5 miliardi di dollari, ha aggiunto Monaldi.
Tuttavia, il greggio venezuelano — soggetto alle sanzioni statunitensi — è anche un concorrente diretto dell’industria petrolifera russa, anch’essa colpita dalle stesse sanzioni e che quindi condivide alcuni mercati, come la Cina.
“I russi non stanno più investendo in Venezuela, questo è il punto”, ha concluso Monaldi.
(c) 2025 , The Washington Post · Anthony Faiola, Hannah Natanson, Mary Ilyushina, Ana Vanessa Herre