rapporti america-cina
Quanto conta la guerra dei chip (e dell'AI) nell'atteso vertice fra Trump e Xi
Alla Gtc di Washington, “il Super Bowl dell’intelligenza artificiale”, il fondatore di Nvidia presenta la nuova Corsa allo spazio e critica le restrizioni sull'export della Casa Bianca. La battaglia per la supremazia tecnologica con la Cina e il tentativo di riportare innovazione e profitti sotto il controllo dell'America. L'incontro di Jensen Huang con il presidente poco prima di quello con il leader cinese cambierà le cose?
Jensen Huang, il ceo del colosso Nvidia e rockstar del settore dei semiconduttori, è salito ieri sul palco della Gtc, l’annuale conferenza sull’AI dell’azienda, dopo un lungo video che ripercorreva i successi americani nell’innovazione, dall’aquilone di Benjamin Franklin all’esplorazione spaziale fino alle ultime applicazioni dell’AI. “Questo è il nuovo momento Apollo dell’America”, ha detto Huang salendo sul palco, e poco prima nel filmato era apparso anche lui, il presidente americano Donald Trump, che era il vero destinatario dell’atteso discorso di uno degli uomini più potenti del mondo tecnologico americano. L’ha esplicitato lo stesso Huang: di solito la gigantesca Gtc – la definiscono “il Superbowl dell’AI” – si tiene a San Jose, a pochi chilometri dal quartier generale di Nvidia di Santa Clara.
Quest’anno però tutto lo show è stato spostato a Washington, per facilitare la presenza del presidente americano. Solo che Trump, nelle stesse ore, si trovava in Giappone, a cena dall’ambasciatore americano George Glass, in compagnia, tra gli altri, del ceo di Softbank Masayoshi Son e dell’ad di Apple Tim Cook. Jensen Huang contava sulla presenza di Trump alla conferenza dedicata all’innovazione nel campo delle Gpu, le unità di elaborazione grafica che sono il cuore del business dell’azienda per ora senza rivali. Perché se il commercio non è più una questione di mercato, l’obiettivo di certi eventi e della presenza dell’azienda californiana nei luoghi del potere federale serve anche a influenzare chi costruisce la politica. E’ anche per queste pressioni che ieri, dopo la sua cena con diversi colleghi di Huang e soprattutto Masayoshi Son, amico fraterno del ceo di Nvidia, Trump ha annunciato il colpo di scena: oggi incontrerà Jensen Huang di persona, in Corea, in occasione del vertice dei ceo dell’Apec, l’Asia-Pacific Economic Cooperation. La rockstar dei microchip con la giacca di pelle sarà dunque l’ultimo a sussurrare all’orecchio del presidente americano prima dell’incontro più importante, quello di giovedì mattina con il leader cinese Xi Jinping.
Ieri Bloomberg scriveva che “il fondatore di Nvidia ha cercato attivamente di ottenere cambiamenti nella politica americana, in particolare nei controlli sulle esportazioni che hanno effettivamente impedito a Nvidia di vendere i suoi chip più avanzati alla Cina, il più grande mercato mondiale dei semiconduttori”. La storia di Huang Jen-Hsun, nato a Tainan, in Taiwan, mandato negli Stati Uniti con suo fratello a nove anni a vivere da uno zio, e poi diventato il capo della più grande e strategica azienda manifatturiera dell’alta tecnologia, è quella di chi ha smesso di pensare di essere “l’unico venditore di armamenti nella guerra dell’intelligenza artificiale”, come ha definito Nvidia un analista di Wall Street in un famoso ritratto del New Yorker uscito qualche tempo fa. Dopo le restrizioni sull’export di chip più avanzati verso la Repubblica popolare cinese, in un’intervista pubblica di metà ottobre Huang ha detto che Nvidia è passata “dal 95 allo 0 per cento di quota di mercato, quindi non riesco a immaginare che un politico possa pensare che sia una buona idea”. La velata critica alle restrizioni di Trump si fonde con l’ormai nota tattica dell’adulazione, e quindi ieri Huang ha celebrato le politiche economiche ed energetiche dell’Amministrazione, e ha parlato di un momento fondamentale della storia americana perché c’è in gioco – come durante la Corsa allo spazio – la supremazia tecnologica dell’America nel campo dell’intelligenza artificiale.
Gli osservatori più attenti non si aspettano grandi risultati dall’incontro fra Trump e il leader cinese Xi Jinping con cui, se tutto va bene, stringerà un accordo già negoziato a livello ministeriale nei giorni scorsi. Due giorni fa il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, dopo l’incontro con il vicepremier cinese He Lifeng aveva detto che sulla “parte commerciale”, la crisi più grave fra Washington e Pechino dovrebbe essere superata, ma poi aveva aggiunto ai giornalisti che non c’erano stati “cambiamenti nei controlli americani sulle esportazioni”. Di più: nei giorni scorsi la Casa Bianca ha fatto intendere di avere altri livelli di escalation contro Pechino nel caso in cui la Cina continuasse con le sue restrizioni all’export delle terre rare, fondamentali per la produzione tecnologica, e sarebbe sul tavolo anche la limitazione delle vendite alla Cina di componenti con software americani.
Ieri Huang ha fatto un discorso accorato e anti isolazionista, spiegando nei dettagli a Trump perché essere “America first” non significa limitare l’export: “Le telecomunicazioni sono la spina dorsale dell’economia”, ha detto. “Sin dagli inizi del wireless eravamo noi a definire la tecnologia, a fissare gli standard globali e a esportare la tecnologia americana in tutto il mondo. Poi non è più successo. Ed è passato molto tempo”. A osservare le prossime decisioni americane sono anche gli europei, soprattutto dopo il caso dell’azienda Nexperia, controllata dal gruppo cinese Wingtech, posta sotto il controllo temporaneo del governo dei Paesi Bassi per “rischi per la sicurezza economica europea”.
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