I segnali seri di Trump a Putin
I nuovi uomini che si occupano di Ucraina per la Casa Bianca e le sanzioni a Rosneft e Lukoil che portano alle prime reazioni in India e Cina. Il Cremlino si mostra pacato e ritenta la strada morbida con il capo della Casa Bianca
Quando il segretario della Nato, Mark Rutte, entra nello Studio ovale, il presidente Donald Trump è in vena di grandi annunci. Mercoledì, il capo della Casa Bianca ha annunciato sanzioni consistenti contro le due maggiori compagnie petrolifere russe, Lukoil e Rosneft. Lo ha fatto sull’onda della frustrazione e forse anche della rabbia nei confronti del Cremlino, che continua a rifiutare un compromesso o un negoziato serio per far finire la guerra in Ucraina. La decisione di Trump ha sorpreso e due entrate vitali per l’economia russa si sono parzialmente interrotte. Prima l’India, poi la Cina hanno sospeso l’acquisto di petrolio russo trasportato via mare (la quantità di petrolio trasportato via terra è maggiore) e il brusco calo della domanda di greggio – una delle principali fonti di reddito della Russia – da parte dei due maggiori clienti crea un problema significativo alle entrate russe.
Secondo diversi analisti l’impatto delle sanzioni dipenderà da tre fattori: reazioni dei principali mercati in India e in Cina; l’efficacia dell’applicazione delle misure e la capacità di Mosca di aggirarle. Il primo fattore ha già mandato segnali di allarme per Mosca, tanto che Vladimir Putin ha dovuto commentare in prima persona la decisione di Trump. Il capo del Cremlino ha ostentato calma e pacatezza, è intervenuto per dire che il vertice di Budapest sarà riprogrammato perché il dialogo è importante e deve andare avanti, ha riconosciuto che gli Stati Uniti stanno cercando di fare pressione sulla Russia, ma un paese rispettabile non reagisce sotto pressione e, va da sé, per Putin la Russia è un paese rispettabile. Putin ha aggiunto che la Russia e gli Stati Uniti hanno molti ambiti di cooperazione, ma serve un dialogo serio e lungimirante. Il capo del Cremlino ha scommesso che Trump non ha intenzione di fare davvero male alla Russia, pensa di poter andare avanti e di avere tempo per riorganizzarsi. Ha chiamato le sanzioni “un atto ostile”, ma ha assicurato che non avranno effetto. Non poteva dire altrimenti, è stato costretto a parlare per mandare un segnale e già l’esigenza di un suo commento indica che la mossa di Trump preoccupa Mosca. Il prossimo passo per il Cremlino sarà tentare una nuova telefonata con il capo della Casa Bianca, ha tempo prima che le sanzioni facciano effetto e spera di tornare alla situazione di agosto, quando Trump annunciò che Washington avrebbe imposto sanzioni secondarie se Mosca non avesse accettato un cessate il fuoco. Poi la minaccia di Trump svanì nel nulla, si perse al vertice inconcludente di Anchorage.
Le sanzioni però non sono l’unico elemento che indica un cambiamento nella politica americana. Secondo il Wall Street Journal, il via libera agli attacchi in profondità dentro al territorio russo non dovrà più essere concesso dal Pentagono, quindi dal segretario Pete Hegseth o dal responsabile politico Elbridge Colby, che quest’estate sospese le spedizioni di alcuni missili all’Ucraina, sorprendendo diverse persone dentro all’Amministrazione americana. Adesso ad autorizzare gli ucraini sarà Alexus Grynkewich, comandante delle Forze della Nato, pilota di caccia, di origini bielorusse e con una forte vicinanza alla causa dell’Ucraina. Rispetto ai tempi di Anchorage sono molte le differenze e le persone messe a gestire il dossier indicano che qualcosa si sta muovendo, nonostante la titubanza di Trump. Ieri il segretario di stato americano e capo della sicurezza nazionale Marco Rubio era in Israele, ma questa volta, il presidente americano, ha incaricato lui di gestire i contatti con i russi e non l’inviato speciale Steve Witkoff. E’ vero che Witkoff è impegnato a gestire il cessate il fuoco in medio oriente, ma i suoi errori nei rapporti con il Cremlino sono stati enormi e Trump non poteva non tenerne conto. Rubio, parlando con Lavrov, ha suggerito che la Russia non era affatto pronta a un vertice con il presidente americano.