
Kamel Ghribi con Antonio Tajani (foto LaPresse)
Affari ma non solo
Chi è Kamel Ghribi, il lobbista del governo in medio oriente e Africa che ora punta a Gaza
Il Gruppo San Donato si candida per costruire ospedali e dare aiuti. Dietro c'è l'imprenditore venuto da Sfax, sponsorizzato da Tajani, Sequi e Alfano, che stringe le mani di tutti, da Gheddafi a Papa Leone
C’è un nome nuovo tra le società italiane interessate alla ricostruzione di Gaza, quello del Gruppo San Donato, il gigante della sanità privata che con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi si è trasformato in una sussidiaria della politica estera italiana in Africa e medio oriente. Fonti del Foglio confermano che il Gruppo è pronto a offrire il proprio contributo alla ricostruzione della Striscia, “laddove le sue competenze uniche possano essere utili”. Sebbene la tregua a Gaza viva ancora di grandi incertezze, il panorama di imprese italiane che si è mobilitato con manifestazioni di interesse e scommettendo sulla pacificazione della Striscia è ampio. Fra queste c’è appunto il Gruppo San Donato, rappresentato dal vicepresidente Kamel Ghribi, l’imprenditore svizzero-tunisino nato da “un’umile famiglia di Sfax”, in Tunisia, e arrivato a stringere mani nei salotti che contano tra Roma, il Vaticano e Washington.
Kamel Ghribi, seppure sconosciuto al grande pubblico, si è affermato come il lobbista prediletto dal governo italiano in medio oriente e in Africa. Una scalata sorprendente partita da lontano. A soli 29 anni è vicepresidente della Olympic Petroleum Corporation negli Stati Uniti, ma la prima volta che se ne sente parlare è il 2002, dalle colonne del Wall Street Journal. Il quotidiano americano ricostruiva gli sforzi profusi per riavvicinare la Libia di Muammar Gheddafi agli Stati Uniti, superando gli attriti culminati con il disastro di Lockerbie del 1988. L’articolo raccontava dei rapporti stretti fra Ghribi e il colonnello libico, tanto da riuscire a mediare incontri segreti tra i consulenti della Casa Bianca e Gheddafi in persona. Tra i suoi collegamenti con il regime di Tripoli c’era (e c’è) Mohamad Ali Houej, che all’epoca era membro del cda del Cotonificio Olcese (di cui Ghribi è stato vicepresidente fino al 2000), direttore della Libyan Arab Foreign Investment Company, ministro sia con Gheddafi sia dopo la morte del dittatore, riconfermato alla guida del dicastero per l’Economia con l’attuale governo di unità nazionale. Houej è però anche destinatario di sanzioni imposte da Australia e Regno Unito per la sua “connivenza con le politiche repressive di Gheddafi”.
A Lugano, Ghribi è diventato presidente della Gksd Holding, una società con dentro un florilegio di controllate che spaziano dalla sanità, all’edilizia alla consulenza. “Ha capito che investire nella sanità privata in paesi dove c’è chi è disposto a pagare tanti soldi per farsi curare è molto redditizio”, racconta al Foglio chi lo conosce. Da consulente dei figli di Giuseppe Rotelli, il fondatore del Gruppo San Donato scomparso nel 2013, arriva a ricoprire un ruolo nevralgico nel gruppo. Diventa grande amico della vedova Rotelli, Gilda Gastaldi, e si afferma come un “visionario dell’innovazione sanitaria”, come si autodefinisce sul sito della Gksd. Nel 2021 il Gruppo San Donato è coinvolto nello scandalo dei miliziani libici curati al San Raffaele di Milano occupando i posti letto che sarebbero spettati alla Sanità pubblica. La storia salta fuori per caso, dopo l’accoltellamento fra tre libici ricoverati al San Raffaele. Si viene a sapere di una convenzione siglata fra l’ospedale privato e l’ambasciata libica presso la Santa Sede – convenzione la cui esistenza è smentita dal Gruppo, ma che è invece confermata dagli inquirenti che indagano sull’accoltellamento. Il caso finisce anche in Parlamento, perché si sospetta che fra i libici ricoverati ce ne siano alcuni accusati di crimini di guerra, vista la solerzia con cui i tre sono fatti sparire con un volo Roma-Tripoli, di fatto impedendo la prosecuzione delle indagini.
Dopo una fase complicata durante la pandemia, il Gruppo San Donato riesce a scrollarsi di dosso parte dei debiti grazie all’abilità di Ghribi che diversifica le attività arrivando anche all’edilizia. “E’ un ottimo uomo d’affari”, assicura chi ha lavorato con lui, “uno che è perfettamente a suo agio in certi contesti”, aggiunge sibillino qualcun altro. E’ apprezzato da Antonio Tajani, sfrutta il vento di opportunità portato dal Piano Mattei, si avvale della consulenza dell’ambasciatore Ettore Sequi e del presidente del Gruppo, Angelino Alfano. In questo modo, Ghribi ottiene gli appoggi che servono per fare dell’umanitarismo sanitario la nuova via della politica estera meloniana. Nel 2023 arriva in Siria dove nessuno voleva andare, inviando con l’aiuto della Farnesina medicine e ambulanze ai terremotati nel nord del paese. Gli aiuti vengono consegnati, riporta l’emittente tunisina Mosaique, con il sostegno politico di Ayman Raad, allora ambasciatore del regime di Damasco alla Fao a Roma e noto sponsor della normalizzazione delle relazioni fra la Siria di Assad e l’Italia. “Abbiamo l’obbligo di donare a chi non ha nulla”, si legge sul sito dell’Ecam, il think tank fondato da Ghribi che si occupa del dialogo con i paesi del medio oriente e dell’Africa. Mentre si prodiga per aiutare i più bisognosi, Ghribi non dimentica di essere anche un uomo d’affari e in quanto tale mal sopporta le sanzioni, in particolare quelle imposte contro il dittatore Bashar el Assad perché ostacolano gli aiuti umanitari e sanitari. “Trovo difficile accettare che sia possibile per una data nazione considerare l’altra come un partner affidabile se la comunicazione primaria non è il dialogo e il rispetto, ma la coercizione; ed è un fatto inconfutabile che le sanzioni siano coercitive”, scrive sul sito di Gksd.
Insomma, Ghribi è per aiutare tutti, a prescindere dai beneficiari. Da grande amico degli emiratini – “Dubai è al centro della sua strategia”, raccontano al Foglio –, nel 2021 è accolto in Darfur all’inaugurazione di un ospedale costruito dagli Emirati con gli onori che si riservano a un capo di stato dall’allora vicepresidente del Sudan, il generale Mohamed Hamdan Dagalo noto come “Hemedti”. Lo scorso gennaio, il comandante delle Forze di supporto rapido è stato accusato dal Tribunale speciale per il Sudan di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e omicidio dell’ex governatore del Darfur occidentale, Khamis Abdullah Abakar.
Una storia di successo si compie invece in Iraq, a Najaf e Bassora, dove il Gruppo mette in piedi strutture sanitarie all’avanguardia. Nel cuore di Baghdad, a Piazza Tahrir, le bandiere dell’Iraq e dell’Italia campeggiano dove si lavora al cantiere di un ospedale con un notevole ritorno di immagine per il nostro paese. Ma è in Libia che le attività di Ghribi tornano a destare interesse. Come documentato anche dal Foglio, lo scorso settembre il vicepresidente del Gruppo è volato a Bengasi per incontrare Khalifa Haftar, con cui scatta un immancabile selfie postato su Instagram, e il figlio del generale, Belqasem, che guida il Fondo nazionale per lo sviluppo e la ricostruzione della Libia. Ghribi e Haftar siglano un memorandum per costruire cinque ospedali nell’est della Libia e formare il personale sanitario. Con un dettaglio: l’unico rappresentante del governo italiano alla firma dell’intesa, con tanto di photo opportunity, è il capo dei nostri servizi segreti esterni, generale Giovanni Caravelli. Un accordo siglato in forma anomala che, come risulta al Foglio, ha spazientito molti imprenditori italiani più piccoli, membri della Camera di commercio italo-libica che erano interessati a investire fino a 80 milioni di euro nel settore della sanità in Cirenaica e che, dopo la visita di Ghribi, hanno deciso di protestare con la Farnesina, accusata di avere riservato un trattamento privilegiato al Gruppo San Donato.
Ghribi non commenta – nemmeno su richiesta del Foglio – né rilascia interviste, se non a se stesso. La sua pagina Instagram lo ritrae a cene di gala e bilaterali con praticamente ogni leader europeo, arabo o africano. Si va dal presidente albanese Edi Rama al ministro degli Esteri siriano Asad al Shibani, passando per la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e, ovviamente, Giorgia Meloni. Infine, le immancabili udienze private con Papa Francesco e Leone XIV accompagnate da voice over che rivolgono appelli alla pace e alla riconciliazione tra i popoli. A un certo punto, all’inizio di quest’anno, cominciò a girare la voce che Ghribi ambisse persino alla presidenza della Tunisia. “Mi sa che ci ha ripensato, guadagna di più adesso”, commentano i più smaliziati. Tre giorni fa ha ricevuto il premio “Dea Roma” della National Italian American Foundation a Washington, con tanto di videomessaggio di Meloni e alla presenza di un parterre esclusivo – da Andrea Bocelli a John Elkann passando per Alex Del Piero – e ha voluto ringraziare Meloni e Trump che “continuano ad alimentare la fraterna amicizia e lo storico legame tra il popolo statunitense e italiano”. Anche grazie a quest’amicizia, Kamel ora punta a costruire ospedali a Gaza.